La mitologia demografica

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 Bench? ormai scienza matura, la demografia conosce tuttora numerosi miti. Fra i pi? diffusi vi sono la leggenda della crescita demografica esponenziale, incapace di guardare alla complessit? dei fenomeni demografici, e il miraggio di un aumento letale, che ignora la verit? secondo cui la popolazione pu? crescere solo se l’alimentazione e le altre condizioni di vita lo rendono possibile. Diffuso ? pure il mito secondo il quale i problemi demografici andrebbero risolti attraverso il controllo delle nascite: la crescita della popolazione ? invece dovuta alla riduzione della mortalit?, e solo quando questa diventa stabile interviene anche una riduzione della fecondit?. Purtroppo questi miti hanno giocato un ruolo rilevante alla Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, organizzata a Il Cairo, nel 1994, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Il termine “mitologia” rimanda di solito al complesso dei miti o racconti greco-latini, che mettono in scena dei, eroi, uomini e animali, alberi e fiori, rivestendo di caratteri meravigliosi lontane reminiscenze storiche.
In verit?, ci si ? chiesto se i greci credevano veramente a queste storie ( l ).
La risposta ?: in una certa misura, s?.
Noi stessi non continuiamo forse a parlare delle fatiche di Ercole e del filo di Arianna? Non tiriamo forse a sorte il “re dell’Epifania” ( 2 )?
Cos?, numerosi popoli hanno costruito miti, il cui studio ? indispensabile per capire le societ? antiche.


Fin dall’inizio dell’umanit?, gli uomini, appoggiandosi su apparenze, o in mancanza di conoscenze dimostrabili, immaginano causalit? che si rivelano, pi? o meno rapidamente, essere di fatto solo miti, cio? pure costruzioni dello spirito.


Pi? recentemente, alla fine del secolo scorso, in Francia, Louis Pasteur ha trovato sulla sua via i sostenitori della generazione spontanea, che credevano fermamente alla comparsa, in certe condizioni, di organismi viventi, che causano le malattie.


E, sotto i nostri occhi, vediamo attualmente la meravigliosa teoria del Big-Bang passare dallo stato di nozione esplicativa dell’origine dell’Universo a quello di mito.


Dunque, con il passare del tempo, numerose scoperte e riflessioni pi? approfondite hanno migliorato e affinato le conoscenze.


Cos? si ? finito per credere che la ragione e la scienza dovevano scacciare il mito perch? dovrebbe essere considerato come vero solo quanto risulta da una spiegazione razionale basata su un procedimento scientifico che, per giungere all’evidenza, fa precedere l’osservazione alla deduzione.


Il mito doveva allora essere abbandonato, perch? nemico d’una conoscenza vera.


Per altro, esiste tutta una corporazione di uomini, gli scienziati, il cui compito sta nel costruire una conoscenza fondata su ricerche indiscutibili.


Ma la realt? del nostro tempo ? diversa da questo schema, il quale lascerebbe pensare che la civilt? umana sarebbe passata dall’ombra dell’ignoranza che costruisce, in sostituzione, miti, alla luce della conoscenza che scarterebbe tutto quanto ha carattere d’irreale.


 


Ma il reale ? sempre pi? complesso di quanto l’uomo immagini e da ci? derivano tre constatazioni.


La prima sta nel ricordare i limiti della scienza: anche se lo scientismo ha creduto di poter racchiudere tutta la realt? umana nelle logiche dimostrabili, la scienza – o meglio le scienze – non pu? spiegare tutto, sperimentare tutto. D’altronde, fare della scienza un dio ? una forma di mitologia e pu? portare a societ? disumane, come ha mostrato la realizzazione del socialismo scientifico in diversi paesi oppure il famoso libro di Aldous Huxley, Il mondo nuovo ( 3 ).


In secondo luogo, la neutralit? della scienza resta indubbiamente un obiettivo da perseguire (4), ma gli scienziati sono sempre soltanto uomini, con le loro specificit? e imperfezioni. Essi hanno anche la loro soggettivit? e possono commettere errori. Inoltre, gli strumenti di cui dispongono corrispondono a un certo stadio del progresso tecnico, che limita la loro capacit? d’analisi e d’azione.


In terzo luogo bisogna pure constatare che ogni societ?, compresa quella contemporanea, secerne, fabbrica o manipola miti. Per esempio, era un mito molto radicato la credenza secondo cui i discepoli di Karl Marx conoscevano il senso della storia, il che comportava che i paesi che vi si sottomettevano dovevano ineluttabilmente superare economicamente i paesi non comunisti. Altro esempio, la credenza che le procedure di elezioni all’europea – lo scrive un democratico -, che si reggono sul principio del potere affidato alla maggioranza, sia un modello universale che darebbe soluzione ai torbidi civici in tutte le societ?. Ora, in diversi paesi, la pace civile ? possibile solo se la minoranza o le minoranze godono di una garanzia d’esistenza pi? rilevante del loro peso quantitativo. Diversamente, si giunge a catastrofi, come quelle del Ruanda, largamente create dal


mito europeo prima evocato.


 


Cos?, in ogni branca della conoscenza, compaiono miti, cio?, per riprendere la definizione del Petit Robert, “immagini semplificate, spesso illusorie, che gruppi umani elaborano o accettano come un fatto e che svolgono un ruolo determinante nel loro comportamento o nella loro valutazione” ( 5 ).


 


In demografia, come in altre discipline, regna un’importante mitologia, che raggruppa idee comunemente accettate ( 6 ), mentre il loro esame mostra la loro carenza di fondamento scientifico.


Questa mitologia demografica non ? nuova, anche se il suo sviluppo contemporaneo pu? stupire, perch? si produce proprio quando la demografia ha fatto progressi incontestabili nella conoscenza, soprattutto elaborando strumenti di migliore qualit? ( 7 ). La mitologia demografica era pi? scusabile in passato, in epoche in cui la quasi inesistenza della raccolta dei dati demografici non permetteva di conoscere la realt?.


Fu cos?, per esempio, che Charles de Montesquieu costru? come osservazione demografica sull’universo un racconto basato sull’immaginazione, una favola, perch? non disponeva di dati quantitativi reali.


Nell’epoca contemporanea, la mitologia demografica utilizza tutti gli strumenti della mitologia: la leggenda, la finzione, il miraggio e l’illusione.


Ognuno di questi termini sar? illustrato con un esempio, il che non esclude l’esistenza di molti altri esempi.


Ma cominciamo con una favola mitologica proposta da Montesquieu come la descrizione della realt?.


 


Una favola antireligiosa


Nelle Lettere Persiane il nostro grande autore si mostra convinto che la terra stia conoscendo uno spopolamento considerevole.


E cos? scrive : “Da un calcolo, esatto per quanto ? possibile in questa materia, ho dedotto che sulla terra c’? appena la decima parte degli uomini che c’erano nei tempi antichi. ? sorprendente come essa si spopoli di giorno in giorno; se continua cos?, fra dieci secoli sar? un deserto” ( 8 ).


Cos? il secolo XVIII avrebbe vissuto la continuazione della decadenza che si consumava dopo l’Impero romano. Come spiegare il progredire continuo di un tale spopolamento?


Ora Montesquieu constata che due grandi religioni si sono diffuse dopo l’Impero romano: il cristianesimo e l’islam. “Tu cerchi la ragione per cui la terra ? meno popolata che in altri tempi: e, se ci rifletti, vedrai che il grande cambiamento dipende da quello verificatori nei costumi” (9).


Infatti Montesquieu denuncia tre aspetti dei costumi che potremmo designare con l’aggettivo spopolazionisti, di cui getta la responsabilit? sulle religioni cristiana e musulmana: il celibato, l’impossibilit? del divorzio e la poligamia.


Secondo lui “il numero di persone che fanno professione di celibato ? straordinario” ( 10 ) e la continenza perpetua scelta da troppi uomini ? “una virt? dalla quale non nasce niente” ( 11 ).


La proibizione del divorzio da parte della religione cristiana sarebbe un secondo fattore di denatalit?.


Infatti egli scrive, sempre nelle Lettere Persiane: “Non bisogna dunque stupirsi se fra i cristiani si vedono tanti matrimoni fornire un numero cos? esiguo di cittadini. Il divorzio ? abolito; i matrimoni mal assortiti sono irreparabili” ( 12 ).


Montesquieu rimpiange l’impossibilit? di risposarsi dopo un divorzio: […] le donne non passano pi? come tra i Romani, successivamente nelle mani di diversi mariti, che ne traevano nel passaggio il miglior beneficio possibile” ( 13 ).


Terza causa di spopolamento, i costumi islamici, che autorizzano la poligamia e la pratica dell’harem, che tiene nell’infecondit? molti uomini e sottoutilizza le possibilit? di procreazione delle donne: […] le donne costrette a una continenza forzata, hanno bisogno di chi le sorvegli, e non possono che essere eunuchi: la religione, la gelosia e la ragione stessa non permettono che altri le avvicinino. Questi guardiani devono essere numerosi, sia per mantenere la tranquillit? interna, nelle lotte che le donne si fanno di continuo, sia per impedire tentativi dall’esterno” ( 14 ).


La rivalit? femminile e la sorveglianza dell’harem necessitano dunque di troppa mano d’opera maschile infeconda: “Cos? uno che ha dieci mogli, o concubine, ha almeno altrettanti eunuchi per sorvegliarle. Ma che perdita per la societ?, tanti uomini morti fin dalla nascita! che spopolamento ne deve derivare!” ( 15 ).


Tutto questo insieme di frasi forma un’autentica favola. Infatti, da una parte non vi ? spopolamento nel secolo XVIII e nemmeno se si confronta questo secolo con i primi secoli dell’era cristiana. D’altra parte, le nuove religioni non hanno spinto alla denatalit?, ma hanno al contrario onorato la fecondit?.


Come spiegare allora la nascita d’una simile favola?


A questo scopo bisogna studiare le immagini che Montesquieu ha sotto gli occhi.


Cos? come una fotografia pu? non essere rappresentativa della realt?, o essere truccata da chi detiene il potere ( 16 ), Montesquieu sembra vedere solo una cosa: l’imponenza delle rovine lasciate dall’Impero romano, che facevano supporre la necessit? di una popolazione rilevante per costruire e per far vivere tali costruzioni. Egli ne deduce quindi, come numerosi suoi contemporanei, uno spopolamento, che i successivi lavori di demografia storica hanno poi mostrato non essersi verificato. Inoltre – com’? noto – Montesquieu era animato da robusti sentimenti fortemente anticlericali. Quindi non meraviglia che abbia attribuito alle religioni le cause dei disastri demografici ai quali credeva.


 


La leggenda dell’esponenziale


Nel secolo XVIII, quando la statistica demografica balbetta ancora, la favola di Montesquieu ? indubbiamente pi? scusabile della mitologia demografica contemporanea.


Questa si basa anzitutto su una leggenda, cio? su una rappresentazione dei fatti accreditata nell’opinione pubblica, ma deformata e amplificata dall’immaginazione e dalla parzialit?.


Quale lettore o quale telespettatore non ha visto la curva secondo la quale gli effettivi della popolazione mondiale sarebbero aumentati in modo continuo dalla preistoria fino alla met? del secolo XVIII, per conoscere allora un nuovo aumento continuo, ma con un ritmo molto pi? rapido, che d? l’impressione di una curva esponenziale, di una evoluzione folle?


Ebbene, questa curva che si pretende riassuma gli studi demografici, contiene numerosi errori che trasformano la realt? in una leggenda dell’esponenziale.


Anzitutto, fino al 1750, la crescita della popolazione mondiale non ? stata continua, tutt’altro. ? un dato acquisito che la popolazione, nel suo insieme, ha conosciuto fasi di stabilit?, di debole crescita, di crescita pi? rilevante, di debole decrescita o di decrescita pi? accentuata.


L’evoluzione caotica attorno a un effettivo relativamente stabile ? generalmente la regola per tutte le popolazioni di esseri viventi, a seconda della variazione delle condizioni climatiche, della


concorrenza fra le specie, rappresentata per gli uomini dalle guerre e dalle rivoluzioni, delle epidemie aggravate dalle condizioni di vita in collettivit? degli esseri umani.


Una crescita debole si constata alla fine del primo millennio dell’era cristiana e nei primi secoli del secondo millennio, o ancora al momento del Rinascimento.


Le crescite pi? rilevanti si manifestano nei periodi in cui l’umanit?, o una parte di essa, realizza un salto tecnico che modifica sensibilmente le condizioni di vita.


Fino a oggi, almeno tre tempi storici corrispondono a una fase di questo genere. La prima si situa fra il XL e il IX millennio avanti Cristo, quando l’uomo fa progressi nei metodi di caccia e di cottura degli alimenti. La seconda, legata contemporaneamente alla diffusione di tecniche agricole e allo sviluppo delle citt?, si situa nella prima met? del primo millennio avanti Cristo. Infine, un terzo periodo di crescita rilevante, nei secoli XIX e XX, ? la conseguenza d’importanti progressi economici e sanitari ( 17 ).


La popolazione mondiale ha conosciuto anche periodi di leggera decrescita, pi? difficili da datare con precisione, che hanno potuto corrispondere a catastrofi climatiche, a conflitti sanguinosi oppure ad atteggiamenti negativi di fronte alla fecondit?.


Inoltre, una netta decrescita della popolazione mondiale ? incontestabile almeno in due periodi storici. Da una parte, si sa che la decadenza dell’Impero romano ha avuto effetti demografici: la popolazione mondiale, valutata in 250 milioni nell’anno uno, ? scesa a 200 milioni nel corso del primo millennio. Analogamente, la grande peste nera del secolo XIV ha provocato una ipermortalit?, il cui effetto si ? fatto sentire sulla popolazione mondiale. Questi fatti mettono in evidenza come la credenza in una crescita continua della popolazione del pianeta sia una leggenda.


Questa leggenda rimane per il periodo contemporaneo, che spesso ? rappresentato come caratterizzato da un tasso di crescita della popolazione elevato e continuo.


La realt? delle cifre d? risultati molto diversi. Il tasso di crescita della popolazione mondiale dopo il 1750 ? stato molto variabile, a seconda dell’evoluzione delle diverse popolazioni che la compongono.


In particolare, questo tasso di crescita ha toccato un massimo, stimato in 2,1% all’anno, alla fine degli anni 1960, e poi non ha cessato di diminuire. Ora, la stessa leggenda d? l’impressione che l’eccedenza annua di abitanti sul pianeta rester? durevolmente al livello storico massimo, cio? 92 o 93 milioni di persone all’inizio degli anni 1990. In realt?, questa cifra ha iniziato a scendere verso il 1993-1994, contraddicendo cos? le previsioni che la vedevano crescere a 100 milioni e a non diminuire prima del 2000 (18).


Questo ripiegamento dell’eccedenza annuale degli abitanti della terra era peraltro certo per tutti i demografi avveduti. Il calo della fecondit? media, iniziato negli anni 1970, doveva inevitabilmente riflettersi sulla natalit?, ma con lo scarto di una generazione, tenendo conto dell’inerzia propria dei meccanismi demografici.


Questa evoluzione condanna dunque la leggenda dell’esponenziale e conferma la quasi-certezza che la crescita della popolazione mondiale nel secolo XXI sar? nettamente pi? debole di quanto non sia stata nel secolo XX, indubbiamente da tre a cinque volte minore.


La mitologia demografica ricorre anche al miraggio, cio? alle apparenze ingannevoli.


 


Il miraggio dell’aumento letale


L’aumento della popolazione solleva tutte le paure.


Fra esse, una delle pi? radicate consiste nel pensare che la popolazione mondiale sta nello stesso tempo per raddoppiare e per morire di fame. Ora, queste due evoluzioni si escludono reciprocamente.


Se la popolazione mondiale raddoppia, questo pu? avvenire solo con deboli tassi di mortalit?, almeno tanto deboli da permettere un tasso di crescita che porti al raddoppio.


Ora, i tassi di mortalit? possono essere molto bassi solo se lo permettono le condizioni sanitarie, sociali ed economiche.


La popolazione pu? crescere soltanto se l’alimentazione e le condizioni di vita lo rendono possibile.


Se i metodi di coltivazione e le strutture economiche e sociali non permettono di garantire l’alimentazione di una popolazione pi? numerosa, i tassi di mortalit? saranno elevati mentre i tassi di natalit? tenderanno a stagnare, e la popolazione non pu? crescere.


La crescita non si potr? realizzare perch? la fertilit? sar? indebolita dalla malnutrizione e i neonati saranno destinati a vita breve in ragione del tasso di mortalit? infantile elevato che ne deriverebbe.


? la trappola malthusiana.


Quindi, accettare l’affermazione seguente: “La popolazione mondiale aumenter? nel secolo XXI fino a 12 miliardi” ( 19 ), significa ammettere il seguente sillogismo: “La popolazione mondiale raddoppier?.


Ora, un raddoppio della popolazione suppone condizioni economiche e sanitarie soddisfacenti, quindi nel secolo XXI le condizioni economiche e sanitarie saranno soddisfacenti”.


Certo, la scelta delle informazioni diffuse dai media insiste pi? sulle popolazioni che soffrono carestia – se non altro per presentare un uomo politico in vista, che, con gesto teatrale, si carica sulle spalle un sacco di riso – che su quelle popolazioni le cui condizioni di vita stanno migliorando.


“I popoli felici non hanno storia”, dice la saggezza delle nazioni.


Si tende a pensare che la loro consistenza numerica abbia la responsabilit? delle terribili difficolt? umane constatate in certi paesi.


Ora, in realt?, n? le carestie n? le epidemie corrispondono a una fatalit? che viene ad abbattersi su certi paesi in via di sviluppo. La carestia, piuttosto che la conseguenza di una siccit? ricorrente, ? soprattutto un “sintomo acuto di crisi politiche ed economiche” ( 20 ).


Talora anche il risultato di “politiche deliberate” ( 21 ) da parte di gruppi in lotta o di governi.


Cos?, non ? l’aumento dell’effettivo di una popolazione che si pu? mettere in relazione con i luoghi di carestia, ma piuttosto i torbidi politici.


Gli esempi della Cambogia, della Somalia, del Sudan, del Mozambico e della Liberia illustrano disgraziatamente questa realt?.


In altri paesi, la cattiva gestione di certi governi spiega le difficolt? dello sviluppo malgrado le potenzialit? talora considerevoli: il Madagascar, la Birmania, l’Etiopia o lo Zaire sono solamente esempi fra altri.


 


L’aumento contemporaneo della popolazione e della mortalit? ? dunque un mito, perch? due processi contrari non possono svolgersi insieme.


O la popolazione aumenta perch? l’umanit? riesce a nutrirsi, oppure l’umanit? non riesce a nutrirsi e la popolazione non pu? aumentare.


Cos?, la popolazione dell’Inghilterra ? quadruplicata nel corso del secolo XIX e l’alimentazione ha seguito ampiamente lo stesso ritmo. Durante lo stesso secolo XIX, la popolazione dell’India era stagnante perch? non si era verificata nessuna trasformazione. La popolazione dell’India ha cominciato ad aumentare solo quando si sono prodotte trasformazioni tecniche – scavo di canali d’irrigazione, e cos? via -, economiche e sanitarie.


Conviene quindi fare attenzione ai miraggi demografici diffusi come fiction.


 


Una “fiction” accattivante e tenace


Si crea una fiction quando si d? a un fatto constatato una spiegazione diversa dalla realt? e se ne traggono conseguenze.


Una delle grandi fiction demografiche attuali concerne le cause dell’aumento della popolazione mondiale constatato da circa due secoli.


Quante volte lo si ? attribuito ai popoli “che hanno troppi figli”, “la cui fecondit? ? troppo elevata”, i cui “tassi di natalit? sono insopportabili”? In questo caso, la natalit? ? considerata come responsabile della crescita demografica degli ultimi due secoli.


Questa affermazione, che ? una fiction, porta a una conseguenza prevedibile. Poich? la natalit? ? considerata il fattore determinante della crescita demografica mondiale, come il fattore responsabile della povert?, sar? necessario e sufficiente ridurre la natalit?.


 


Questa fiction accattivante influenza per esempio certe conclusioni della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, svoltasi a Il Cairo nel settembre del 1994.


Infatti esse prevedono, come uniche misure concrete per giungere a “una crescita economica sostenibile nel quadro di uno sviluppo durevole” (? 3.15), la pianificazione familiare, oltre il soddisfacimento dei bisogni relativi alla salute genetica.


Ora, se bastasse “frenare la crescita della popolazione” per giungere alla ricchezza, lo si saprebbe e, a contrario, gli Stati Uniti d’America figurerebbero fra i paesi pi? sottosviluppati, avendo presente la loro eccezionale crescita demografica da due secoli a questa parte. In realt? lo sviluppo ha altre esigenze. Ma ? vero che formare i giovani richiede sforzi organizzativi pi? grandi che mettere “spirali”.


Comunque, il rimedio quasi unico proposto non pu? essere efficace perch? poggia su una fiction.


Infatti, l’attuale crescita della popolazione mondiale non ? dovuta a una natalit? sbrigliata, che sarebbe aumentata da due secoli a questa parte, ma a una mortalit? che ? crollata, aumentando considerevolmente lo scarto fra mortalit? e natalit?.


Pi? precisamente, la crescita demografica ? il risultato del crollo di tre mortalit?, la mortalit? neonatale, la mortalit? materna e la mortalit? dei bambini e degli adolescenti.


Questa evoluzione ha portato a un aumento considerevole dei tassi di sopravvivenza. La conseguenza ? stata una longevit? quasi triplicata e, quindi, il numero degli esseri umani ? aumentato.


Inoltre, la storia dei diversi popoli del pianeta mostra che non vi pu? essere un comportamento teso all’abbassamento della natalit? se la diminuzione della mortalit? non ?


un fatto durevolmente acquisito. Il fattore scatenante la diminuzione della natalit? sta dunque nella diminuzione della mortalit?, come sanno tutti gli specialisti della transizione demografica ( 22 ).


? inutile voler controllare d’autorit? la natalit? quando non sono presenti le condizioni per un cambiamento di natura del livello di mortalit?. Questo spiega, in passato, i numerosi fallimenti dei programmi di pianificazione familiare un poco ovunque nel mondo.


Invece, quando le trasformazioni sociali ed economiche di un paese portano a un abbassamento endogeno della mortalit?, l’abbassamento della natalit? finisce per prodursi naturalmente, non appena le popolazioni hanno capito che questa situazione ? duratura e ne hanno visto le conseguenze sulla discendenza desiderata ( 23 ).


 


L’illusione


Oltre la fiaba, la leggenda e la fiction, la mitologia demografica ricorre anche all’illusione, cio? a un’interpretazione errata della realt? dei fatti.


I media diffondono periodicamente immagini e cifre lorde, che danno l’impressione di un “sovrappopolamento” presentato come un male assoluto.


Vi sono esponenti religiosi che si preoccupano. Nel mondo protestante, un certo numero di responsabili giunge fino a giustificare l’aborto perch? vi sarebbero troppi abitanti sul pianeta. Nel mondo cattolico, sacerdoti rifiutano l’enciclica humanae vitae, del 1968, e le posizioni di Papa Giovanni Paolo II sulla vita in nome dei pericoli di una cosiddetta “sovrappopolazione”, che giustificherebbe tutti i metodi di contraccezione.


Cos?, finalmente, la lotta contro la “sovrappopolazione” giustificherebbe tutti i mezzi, compresi quelli coercitivi, che attentano alla dignit? della donna e alla sua integrit? fisica.


Questa paura della “sovrappopolazione” costituisce indubbiamente oggi, dopo che il marxismo ? passato di moda, l’ideologia pi? penetrante nel mondo.


Io la chiamo l’Ossessione del Sovraffollamento del Pianeta, che corrisponde alla sigla O.S.P. Questa formula mi sembra definire nel migliore dei modi la sostanza di questa ideologia, e non perch? il rappresentante di un paese protestante, la Norvegia, se ne ? fatto il cantore a Il Cairo.


Infatti, si tratta di una vera ossessione, antica, che riappare periodicamente nella vita delle idee ( 24 ) e che si ? dispiegata di nuovo con forza negli anni 1990.


La si trova gi? nell’antichit? greca in Platone o nel secolo XVIII con i premalthusiani. Essa verr? magnificata a partire dal 1798 con le diverse versioni di An Essay on the Principle of Population, di Thomas Robert Malthus ( 25 ), che appaiono appunto all’epoca in cui i progressi tecnici e scientifici cominciano a rivoluzionare il ciclo della vita degli uomini e a contraddire la credenza malthusiana in limiti nella produzione.


Il secolo XIX separer? i maltusiani dai non maltusiani nel seno stesso delle grandi correnti di pensiero: socialismo, liberalismo e anche cattolicesimo. Ciascuno si trova diviso in s? stesso quando si tratta di sapere se bisogna felicitarsi per l’aumento del numero degli esseri umani oppure temerlo.


Molto meno comprensibile ? il ritorno dell’O.S.P. all’inizio degli anni 1970, con il Club di Roma. Infatti, all’inizio del secondo terzo del secolo XX, la demografia ? una scienza che ha fatto molti progressi e molti processi demografici – come i fenomeni d’inerzia o lo schema della transizione demografica – sono ormai ben noti.


Ma vi ?, di fronte alla realt?, un vero “rifiuto di vedere” ( 26 ).


Un’altra caratteristica dell’O.S.P. sta nel mostrarsi incapace di guardare una carta di popolamento del pianeta: essa vi vedrebbe allora che il 95% delle terre emerse ha una densit? di popolazione debole. La met? della popolazione mondiale abita nei tre complessi internazionali a densit? pi? elevata che sono il Sudest asiatico, una parte del subcontinente indiano e una parte dell’Europa Occidentale e Settentrionale. L’altra met? della popolazione mondiale, che occupa 142.500.000 km quadrati, ? dispersa su vasti territori, fuori dai dieci spazi urbanizzati relativamente densi.


Detto in altre parole, sul 5% delle terre, cio? 7.500.000 km quadrati, vi ? una densit? di 400 abitanti per km quadrato, cifra inferiore a quella dei Paesi Bassi (453), dell’Isola Maurizio (595) o della regione ?le-de-France (890). Sul rimanente 95% la densit? media ? di 21 abitanti per km quadrato, inferiore a quella di parecchi dipartimenti poco popolati di Francia (Creuse, 23; Ari?ge, Cantal e Gers, 27; Alta Corsica, 28; Lot e Corsica Meridionale, 29; Aveyron, 30; Meuse, 31; e cos? via). Se la totalit? della popolazione mondiale fosse riunita sul territorio degli Stati Uniti d’America, e il resto del mondo fosse vuoto, la densit? di quei territori sarebbe inferiore a quella della regione ?le-de-France.


In realt?, chiunque abbia voluto accedere correttamente all’autentica conoscenza demografica, sa che la diminuzione della fecondit? nel mondo si opera secondo lo schema della transizione demografica e che nulla permette di giustificare l’O.S.P. Inoltre, questa ideologia deve essere scartata perch? trascura l’importanza delle potenzialit? degli uomini e della terra e soprattutto perch? crea riflessi di paura del futuro, che non favoriscono le scelte pi? giudiziose per l’avvenire.


Si sa che questa ideologia ha parzialmente influenzato i lavori della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, il che porta a una riflessione che conviene intitolare “misteri sul Nilo”, per riprendere la formulazione di un titolo di Agatha Christie, Morte sul Nilo.


 


“Misteri sul Nilo”


Questi misteri derivano dall’ingenuit? di certe analisi e dall’utilizzo di nuove formulazioni: i loro autori sperano che il loro uso baster? ad assicurare il progresso.


 


Il primo mistero ? quello del misconoscimento dei meccanismi demografici da parte di una grande percentuale di delegati. L’astuzia consiste forse nell’annunciare una grande politica di “pianificazione della famiglia” per poi vantarsi della diminuzione della crescita demografica nel mondo, diminuzione che ? certa e gi? avviata, senza che dipenda molto da quanti pensano di controllare le popolazioni. Come ogni essere umano ha diritto a un ambiente che gli permetta di accedere alla dignit? della maternit? o della paternit? responsabili, cos? deve essere bandita ogni politica autoritaria, quindi coercitiva.


 


Un altro mistero risiede nell’interesse sempre pi? ostentato di occuparsi delle “generazioni future”. Interessarsi delle “generazioni future”, secondo la terminologia utilizzata alla Conferenza de Il Cairo, ? pi? che lodevole, ma per assicurare una vita migliore alle generazioni future bisognerebbe forse far di tutto per migliorare quella delle generazioni presenti.


Cos?, la Conferenza de Il Cairo non ha detto praticamente una parola sui problemi posti dallo sviluppo nel mondo contemporaneo, soggetto che tuttavia costituiva la met? del programma promesso nel titolo della Conferenza. Non ? stato fatto alcun inventario delle politiche di sviluppo applicate nei diversi Stati per distinguere quelle che si sono rivelate efficaci dalle altre.


Quanto alla preoccupazione per le “generazioni future”, ? stata solamente molto parziale.


Per esempio, non ? stato detto nulla sugli effetti economici e sociali, ma anche culturali e morali, che l’insufficienza delle generazioni future rischia di portare con s? in certi paesi d’Europa, che conoscono gi? – in alcuni casi da oltre un ventennio – una fecondit? particolarmente bassa.


 


Il terzo mistero ? anche nelle parole. Dopo la Conferenza tenuta a Rio de Janeiro nel 1993, gli esperti sono giunti alla conclusione che bisognava chiamare “sviluppo sostenibile” il tipo di sviluppo auspicabile, cio? sviluppo la cui durata ? assicurata sempre a favore d’una migliore qualit? della vita. Nessuno si pu? opporre alle buone intenzioni contenute in questo nuovo concetto. Ma ? legittimo chiedersi se il suo uso ripetuto non sia un modo per mascherare gli errori di valutazione di ieri. Infatti si sa che i paesi a cui, negli anni 1950, la maggior parte degli esperti profetizzava un “non sviluppo” come il Giappone, Taiwan o la Corea, hanno conosciuto lo sviluppo mentre quelli a cui si pronosticava la ricchezza, come l’Africa equatoriale, che possiede risorse considerevoli, non sono riusciti a decollare.


Inoltre il concetto, attualmente molto gradevole, di “sviluppo sostenibile” ?, di fatto, molto indeterminato. Sembrava d’altronde difficile proporne le misure operative.


Per certo si ? tentato di elaborare un indice dello sviluppo umano, ma esso non si ? rivelato pi? operativo degli indici di sviluppo economico ( 27 ). Infatti porta a certi risultati che urtano il buon senso. Domandarsi oggi se lo sviluppo constatato in questo o in quel paese ? di natura “sostenibile” equivale, in una certa misura, a discutere sul sesso degli angeli.


Alcuni potrebbero concludere che la tendenza a enunciare nuovi concetti, in realt? molto indeterminati, ? un modo di mascherare un certo rifiuto del reale, mentre converrebbe previamente approfondirli.


Lo studio della mitologia demografica contemporanea porta cos? a comprendere perch? fanno la loro comparsa parole nuove per esprimere buoni sentimenti che non realizzano necessariamente buone politiche.


Nell’ora in cui le tecniche portano una sofisticazione e un uso crescente di immagini virtuali nei media, i miti demografici appaiono come altrettante immagini virtuali, seducenti e ingannevoli.


Va a onore dell’uomo scartare i miti accecanti per accedere alla conoscenza vera, perch? la conoscenza ? la libert? dell’uomo. Rifiutarla significa cessare di essere. Significa accettare di farsi trascinare nell’abisso, seguendo l’immagine molto forte dei montoni di Panurgo ( 28 ).


 


G?rard-Fran?ois Dumont


 


Intervento dal titolo La mythologie contemporaine en d?mographie tenuto a Stans, in Svizzera, l’11 novembre 1995, a un convegno sul tema Popolazione e sviluppo, organizzato dall’Associazione Medici Cattolici Svizzeri, nei giorni dal 10 al 12 novembre. Traduzione e titolo redazionali.


 


( 1 ) Cfr. PAUL VEYNE, Les Grecs ont-ils cru ? leur mythe?, Le Seuil, Parigi 1983.


( 2 ) Il riferimento ? a all’usanza – ancora diffusa in Francia – di preparare una torta con dentro una fava: chi ha in sorte la fetta che la contiene ? nominato “re dell’Epifania” (ndr).


( 3 ) Cfr. ALDOUS HUXLEY, Il mondo nuovo. Ritorno al mondo nuovo, trad. it., Mondadori, Milano 1991 (ndr).


( 4 ) Cfr. il mio La science peut-elle ?tre neutre?, in AA. VV., La famille de la science ? l’?thique, Bayard ?ditions-Centurion, Parigi 1995, pp. 27-40.


( 5 ) Il rimando ? a un classico dizionario della lingua francese, a cura di Paul Robert, nella sua versione minore (ndr).


( 6 ) Cfr. ALFRED SAUVY, Mythologie de notre temps, Payot, Parigi 1965.


( 7 ) Cfr. il mio D?mographie. Analyse des populations et d?mographie ?conomique, Dunod, Parigi 1992.


( 8 ) CHARLES DE MONTESQUIEU, Lettere Persiane, lettera CXII, trad. it., Frassinelli, Milano 1995, p. 189.


( 9 ) Ibid., lettera CXIV, p. 192.


( 10 ) Ibid., lettera CXVII, p. 198.


( 11 ) Ibidem.


( 12 ) Ibid., lettera CXVI, p. 197.


( 13 ) Ibidem.


( 14 ) Ibid., lettera CXIV, p. 193.


( 15 ) Ibidem.


( 16 ) ? noto il caso delle fotografie pubblicate in certi paesi totalitari, dove, da un’edizione all’altra, scompaiono collaboratori che nel frattempo hanno smesso di essere graditi al dittatore.


( 17 ) Cfr. il mio Le monde et les hommes. Les grandes ?volutions d?mographiques, Litec, Parigi 1995.


( 18 ) Cfr. PIERRE-JEAN T HUMERELLE, Une population ?cartel?e entre jeunesse et viellissement, in Bulletin de l’Association de g?ographes fran?ais, n. 5, 1994.


(19 ) Si tratta di un’affermazione non sostenibile con sicurezza; cfr. il mio De l’explosion ? l’implosion d?mographique?, in Revue des sciences morales et politiques, n. 4, 1993.


( 20 ) FRAN?OIS JEAN (a cura di), Rapport annuel sur les crises majeures et l’action humanitaire, La D?couverte, Parigi 1995, cit. in Le Monde, 25-1-1995, p. 30.


( 21 ) Ibidem.


( 22 ) Cfr. JEAN-CLAUDE C HESNAIS, La transition d?mographique, Presses Universitaires de France, Parigi 1986.Infatti, il motore della transizione ? il calo della mortalit?: “Se questa fosse rimessa in questione o, peggio, se venisse sostituita da una recrudescenza, anche il calo della fecondit? perderebbe la sua principale ragione d’entrare in campo” ( La Chronique du Ceped, n. 16, gennaio-febbraio 1995).


( 23 ) Cfr. YVES MONTENAY, Les politiques de natalit? dans le Tiers-monde, in D?fense nationale, vol. 40, n. 4, aprile 1993.


( 24 ) Cfr. il mio Il festino di Crono. Presente & futuro della popolazione in Europa, trad. it., Ares, Milano 1994.


( 25 ) Cfr. THOMAS ROBERT MALTHUS, Saggio sul principio di popolazione (1798). Seguito da Esame sommario del principio di popolazione, trad. it., Einaudi, Torino 1977 (ndr).


( 26 ) L’espressione ? di Alfred Sauvy: cfr. soprattutto il suo L’enjeu d?mographique, ?ditions de l’APRD. Association Pour une Renaissance D?mographique, Parigi 1981.


( 27 ) Anche questi indici sollevano molteplici problemi. Un solo esempio: la societ? Carrefour, aprendo il suo primo supermercato a Citt? del Messico in un quartiere molto popolare, ? stata colpita dal potere d’acquisto dei messicani, rivelatosi nettamente superiore a quello ricavabile dagli indici economici (cfr. la trasmissione Capital, su M6, domenica 29 gennaio 1995).


( 28 ) Il riferimento ? a un episodio dell’opera di FRAN?OIS R ABELAIS (1494-1553), Gargantua et Pantagruel (trad. it., Gargantua e Pantagruele, Il quarto libro dei fatti e detti eroici del buon Pantagruele. Composto da Mastro Francesco Rabelais dottore in medicina, capitolo ottavo Come Panurgo fece affogare in mare il mercante e suoi montoni, vol. III, Rizzoli, Milano 1995, pp. 1018-1021): “i montoni di Panurgo” stanno per “quanti si lasciano trascinare da un imbroglione” (ndr).


 


G?rard-Fran?ois Dumont nasce a La Souterraine, nel dipartimento della Creuse, nel 1948.


Dottore in Scienze Economiche e perfezionato presso l’Institut d’?tudes Politiques di Parigi e l’Institut d’Administration d’Entreprise di Poitiers, dal 1972 al 1988 ? dirigente d’impresa, quindi, dal 1988, professore all’Universit? di Parigi-Sorbona. Dirige – fra altri organismi di studio e di ricerca – l’Institut de D?mographie Politique, pure di Parigi.


Fra le circa centotrenta pubblicazioni si possono ricordare le opere principali: Le festin de Kronos. R?alit?s et enjeux des ?volutions socio-d?mographiques en Europe, Fleurus, Parigi 1991 (trad. it., Il festino di Crono. Presente & futuro della popolazione in Europa, Ares, Milano 1994); D?mographie. Analyse des populations et d?mographie ?conomique, Dunod, Parigi 1992; ?conomie urbaine. Villes et territoires en comp?tition, Litec, Parigi 1993; L’am?nagement du territoire facteur de d?veloppement, les ?ditions d’Organisation, Parigi 1994; Les migrations internationales. Les nou-velles logiques migratoires, SE-DES, Parigi 1995; e Le monde et les hommes. Les grandes ?volutions d?mographiques, Litec, Parigi 1995.


Ha curato Pour la libert? familiale, con una prefazione di Alfred Sauvy, Presses Universitaires de France, Parigi 1986; La France rid?e. Les conditions du renouveau, in collaborazione con Pierre Chaunu, Jean Legrand e Alfred Sauvy, 2 a ed. riveduta e aggiornata, Hachette, Parigi 1986; e, sempre con Alfred Sauvy, La mont?e des d?s?quilibres d?mographiques. Quel avenir pour une France vieillie dans un monde jeune?, Economica, Parigi 1984.


 


Tratto da Cristianit? N.250-251 febbraio-marzo 1996