Aborto: il film che ci proibiscono di vedere

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Ha raggiunto i 2 milioni di dollari di incasso dopo appena una settimana di proiezione (iniziata il 12 ottobre), si è piazzato tra i primi 10 film al botteghino a livello nazionale, eppure il film Gosnell – Il processo del più grande serial killer d’America sta subendo una ‘curiosa’ censura, visto che quasi 200 teatri hanno deciso nel frattempo di eliminarlo dalla loro programmazione.
Una storia che comincia da lontano e comprende le censure di facebook e youtube ad immagini e tematiche anti-aborto e anti-gender.

Il film in questione, di cui Il Timone si è già occupato, si basa sulla storia vera di Kermit Gosnell, un ginecologo condannato all’ergastolo nel maggio 2013 per l’uccisione di tre bambini nati vivi dopo un fallito aborto, l’omicidio colposo di Karnamaya Mongar (morta nel 2009 in conseguenza di una procedura abortiva), 21 aborti oltre il limite delle 24 settimane fissato dalla legge della Pennsylvania, nonché per altre 211 violazioni della norma sul consenso informato. E questi sono «solo» i casi che la giustizia americana è riuscita a provare con certezza, dunque escludendo le accuse senza prove a sufficienza ed escludendo le centinaia di bambini soppressi nel grembo materno con il favore della legge.

La storia di Gosnell è evidentemente indigesta alla propaganda che presenta l’aborto come un «diritto» perché ne svela tutti gli orrori e le menzogne. Non per nulla il film, come già il processo del medico killer, è stato snobbato dalla grande stampa e – tra ostacoli vari, incluso l’ostracismo da parte del circo di Hollywood – ci sono voluti tre anni dopo la fine delle riprese (ottobre 2015) prima che i suoi produttori riuscissero a concludere un accordo per la distribuzione della pellicola. Fino appunto all’ultima novità: dai 668 teatri che hanno proiettato il film nel primo fine settimana si è passati ai 488 teatri del secondo weekend, stando alle cifre fornite da LifeNews. Eppure, come hanno spiegato i produttori allo stesso giornale, il film «sta andando incredibilmente bene nonostante gli attacchi da tutte le parti. I veterani del settore affermano di non aver mai assistito a una simile campagna da parte dell’establishment per chiudere un film di successo».

Esempi di boicottaggio oltre a quelli già accennati? «Facebook ha bloccato le nostre inserzioni pubblicitarie e radio pubbliche nazionali hanno rifiutato di lasciarci pubblicizzare [il film] nei loro programmi», aggiungono i produttori, che hanno potuto realizzare la pellicola grazie a una raccolta fondi cui hanno contribuito circa 30.000 persone.
«I media mainstream e l’establishment di Hollywood e della Silicon Valley stanno facendo tutto il possibile per far sì che il film Gosnell fallisca e la verità sull’aborto venga soppressa».
Inoltre, come riferisce il Daily Wire, i produttori hanno ricevuto diverse segnalazioni su teatri che hanno attivamente impedito ai clienti di acquistare un biglietto non pubblicizzando il film o dichiarando il “tutto esaurito”, senza che ciò fosse vero. E si tratta di troppe segnalazioni, secondo il produttore esecutivo John Sullivan (con alle spalle altre esperienze di film indipendenti), per pensare che si tratti solo di sviste ed errori umani e non piuttosto «del contenuto del film».

La cultura socialista libertarian non vuole che venga conosciuto il contenuto del film e, chiaramente, la storia vera su cui si basa proprio perché sa bene che l’emersione della verità può spostare sensibilmente l’opinione in merito all’aborto, com’è in parte già avvenuto per chi ha visto Gosnell (consigliandone a sua volta la visione) o approfondito il caso negli anni precedenti. Si tratta della stessa cultura, perché identico è il presupposto di fondo (il rifiuto della legge morale naturale), che in questi giorni si sta scagliando in Italia contro la campagna «Due uomini non fanno una madre» […] per cercare di fermare la barbarie dell’utero in affitto. Il manifesto – che raffigura due uomini con un carrello della spesa e un bambino al suo interno, marchiato da un codice a barre e piangente -, secondo l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap) sarebbe «un’offesa» alla dignità del bambino. Ah.

Non dunque la pratica dell’utero in affitto – che svilisce la donna, priva deliberatamente il bambino della madre ed è pure vietata dalla legge – ma è il manifesto che denuncia il gravissimo abuso a essere giudicato offensivo e meritevole di censura […]: «Torna in mente la massima: quando il saggio indica la Luna, lo stolto guarda il dito. Virginia Raggi, Chiara Appendino e lo Iap si stracciano le vesti per il nostro manifesto, ma nessuno condanna la pratica denunciata attraverso di esso?».

Eermes Dovico, da: http://www.iltimone.org/news-timone/ancora-censura-gosnell-film-svela-gli-orrori-dellaborto/

 

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