V&V: follie giuridiche del “caso Cappato”

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Il Comitato fondato da M. Palmaro evidenzia contraddizioni e pericolosità dell’ordinanza 207/2018 resa dalla Corte Costituzionale.
Non solo per giuristi: leggiamo tutti per capire dove ci sta portando questa magistratura!

La Corte Costituzionale genera inquietudine nel caso Cappato

L’ordinanza 207/2018 resa dalla Corte Costituzionale nel caso Cappato genera inquietudine ed apre a scenari di grave lacuna nella difesa del bene giuridico della vita.

Se da un canto la Corte ribadisce la incostituzionalità dell’istigazione (o del rafforzamento) dell’altrui volontà suicida, dall’altro, mediante argomentazioni vaghe e contraddittorie, ritiene che l’assistenza al proposito suicida sia invece ammissibile.

Secondo la Corte, bisogna considerare «specificamente situazioni come quella oggetto del giudizio a quo: situazioni inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali».

Nelle ipotesi, come quella del caso di specie, in cui la persona sia:
– affetta da una patologia irreversibile,
– fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili,
– la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale,
– resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli»,

l’aiuto al suicidio «può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare».

Il bene vita viene rimesso quindi ad una serie di criteri del tutto generici ed opinabili, e soprattutto viene sancita la incompatibilità tra la prosecuzione della vita e la dignità dell’individuo, assurgendo simultaneamente il suicidio a strumento di preservazione dello “sviluppo della persona umana”.

Il Comitato Verità e Vita esprime la più radicale contrarietà a questa pericolosissima impostazione, che, con un deliberato sovvertimento etico e giuridico antepone alla vita della persona una serie di valutazioni che, per giunta, solo apparentemente sono circoscritte alla persona stessa ma si estendono, di necessità, a chi materialmente coopera al suicidio.

Inoltre, collegando artatamente il suicidio al concetto di “sviluppo della persona umana” la Corte crea un nesso con l’art. 3 della Costituzione le cui drammatiche conseguenze sono facilmente immaginabili: se infatti l’aiuto alla morte costituisce una modalità di tutela dell’uguaglianza tra le persone, allora il medico o il familiare potranno essere obbligati a dar corso alla richiesta di aiuto in quanto vincolati da una tutela di somma natura costituzionale; più ancora, chi avesse la tutela di un malato incapace di esprimere un consenso potrebbe “chiederne il suicidio” per sottrarlo ad una condizione che impedirebbe lo sviluppo della sua persona.

La deriva che si prospetta consegna i malati, la medicina, il diritto, le famiglie alla barbarie onde si auspica che il Parlamento non dia corso alla esortazione dei Giudici costituzionali, sottraendosi ad un diktat che non trova reale fondamento né nella legge, né nell’etica né tantomeno nella reale difesa dei malati più deboli.

 

Comitato Verità e Vita, Comunicato Stampa n° 208 del 10 Dicembre 2018, tratto da: http://www.comitatoveritaevita.it/pub/comunicati_read.php?read=451

Perché? Per il semplice fatto che la legge non consiste nella mera ricezione della volontà del singolo, ma anzi essa è chiamata quasi sempre a contrapporvisi, per decidere nel senso di un bene oggettivo, che travalica il punto di vista del singolo. Ecco perché nessuno, nemmeno un re o il presidente di una nazione, hanno nel fascio dei loro poteri l’autorità per decidere che un innocente sia ucciso, seppure con il suo consenso.”  (MARIO PALMARO – 26/09/2006)

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