La clonazione umana. Aspetti di diritto internazionale

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del prof. ROBERTO COLOMBO
Pontificia Accademia per la Vita
da: L’Osservatore Romano, 27-8-2003


La fine del secondo conflitto mondiale non solo ha coinciso con una rapida ripresa e uno sviluppo senza precedenti della ricerca biologica e medica, profondamente umiliata dai crimini degli scienziati nazisti e desiderosa di un riscatto morale agli occhi del mondo ancora fissi sul processo di Norimberga che li aveva portati alla luce, ma ha anche visto al centro della ricostruzione della comunit? internazionale il riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, palesemente e violentemente infranti da una ideologia ed una esecuzione eugenetica.


Emblematica e programmatica di un movimento di pensiero e di azione trasversale rispetto ai blocchi politici sorti nel dopoguerra ? la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre 1948 con risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel Preambolo del cui Statuto, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945, i delegati avevano riconosciuto la loro “fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignit? e nel valore della persona umana“. Redatta in forma declaratoria e priva di forza giuridica vincolante, la Dichiarazione ha per ? il merito indiscusso di avere trasferito per la prima volta in uno strumento internazionale la considerazione e la protezione di alcuni diritti naturali (ius gentium), indivisibili ed irrinunciabili, la cui violazione offende la coscienza di tutta l’umanit?. Essa ha segnato “un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della Comunit? mondiale” (Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 75), rappresenta “uno dei documenti pi? preziosi e significativi della storia del diritto, […] ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo del diritto internazionale, ha interpellato le legislazioni nazionali e permesso a milioni di uomini e di donne di vivere pi? degnamente” (Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente della 53a Sessione dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, 30 novembre 1998, in: L’Osservatore Romano, 11-12-1998, pp. 1 e 5, p. 1).


Il carattere programmatico di questo atto si ? riflesso, sul piano regionale e multilaterale, in una serie di convenzioni e di accordi dedicati alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, tra i quali la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libert? fondamentali (Roma, 1950) che, con i suoi protocolli addizionali, porter? alla istituzione – tra gli altri organi ad hoc incaricati di sorvegliarne l’applicazione – della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, e costituir? un modello anche per altri continenti (cfr la Convenzione americana dei diritti dell’uomo [San Jos? de Costa Rica, 1969], la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli [Nairobi, 1981] e la Carta asiatica dei diritti dell’uomo e dei popoli [Kwanjiu, 1998]).


Al di l? delle affermazioni di filosofia del diritto e dei dibattiti giuridici in merito a quali diritti rientrino nella categoria delle “libert? dell’individuo” e quali tra essi siano da considerare come “universali “, che hanno portato alcuni autori a distinguere varie “generazioni” di diritti fondamentali dell’uomo, a partire da quelli enunciati nella dichiarazione francese del 1789, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ammette senza reticenze che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignit? e diritti” (art. 1). “Dignit?” e “diritti”, al pari della libert? e dell’uguaglianza, sono comuni a tutti gli uomini, e, pertanto, non sono conferibili, revocabili o conculcabili a discrezione dell’autorit? nazionale o sovranazionale, ma debbono venire riconosciuti e garantiti ad ogni uomo in quanto tale, e rappresentano la condizione di una civile convivenza in qualunque circostanza sociale. “La Dichiarazione universale ? chiara: riconosce i diritti che proclama, non li conferisce; essi, infatti, sono inerenti alla persona umana e alla sua dignit?. […] Tali diritti riguardano tutte le fasi della vita e ogni contesto politico, sociale, economico o culturale. Essi formano un insieme unitario, orientato decisamente alla promozione di ogni aspetto del bene della persona e della societ?” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 8 dicembre 1998, in: AAS 91 [1999] 377-388, p. 379).


Proprio per questo la Santa Sede d? il suo pieno appoggio morale all’ideale comune contenuto nella Dichiarazione universale, come pure al progressivo approfondimento dei diritti dell’uomo che vi sono espressi” (Paolo VI, Messaggio per il XXV anniversario della Organizzazione delle Nazioni Unite, 10 dicembre 1973, in: AAS 62 [1974] 673-677, pp. 674-675). Con eguale favore la Santa Sede ha accolto la Convenzione europea (1950), la Dichiarazione dei diritti del bambino (1959) e la Convenzione sui diritti del fanciullo (1989). Anche la grave questione morale e civile posta dalla eventualit? di una estensione all’uomo delle tecniche di clonazione sinora sperimentate sull’animale pu? essere affrontata in sede internazionale attraverso una corretta applicazione di questi strumenti e delle carte che si ispirano ai diritti “universali, inviolabili e inalienabili” dell’uomo (Pacem in terris, 3). Infatti, “ben lungi dall’essere affermazioni astratte, questi diritti ci dicono anzi qualcosa di importante riguardo alla vita concreta di ogni uomo e di ogni gruppo sociale. Ci ricordano anche che non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma che, al contrario, vi ? una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli” (Giovanni Paolo II, Discorso all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, 5 ottobre 1995, in: Insegnamenti XVIII/2 [1998] 730-754, p. 732).


Ad un’attenta considerazione del testo e del contesto interpretativo della Dichiarazione, nonch? della vicenda del suo recepimento e delle sue applicazioni e violazioni negli oltre cinquant’anni trascorsi dalla promulgazione, non possono sfuggire alcuni limiti di questo documento del diritto internazionale e di altri che lo hanno seguito. La loro debolezza intrinseca ? di natura antropologica (assenza di un radicamento esplicito della dignit? umana in una ontologia della persona che fondi l’universalit? e l’incondizionabilit? dei diritti dell’uomo): la Dichiarazione “non presenta i fondamenti antropologici ed etici dei diritti dell’uomo che essa proclama” (Giovanni Paolo II, Lectio magistralis per il conferimento della laurea honoris causa in giurisprudenza, 17 maggio 2003, in: L’Osservatore Romano, 18-5-2003, pp. 4-5, p. 5). La debolezza estrinseca deriva da uno svuotamento progressivo della loro autorit? morale ad opera di forze culturali e politiche che promuovono “la tendenza a interpretare i diritti solamente da una prospettiva individualista” (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Conferenza Ministeriale del Consiglio d’Europa per il 50o anniversario della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, 30 novembre 2000, in: L’Osservatore Romano, 4-11-2000, p. 5).


Ci? non di meno, il gravissimo attacco che la clonazione porterebbe alla vita, alla integrit? psicofisica ed alla dignit? dell’uomo che vi fosse sottoposto non lascia spazio ragionevole per una inapplicabilit?, od una applicazione solo parziale, di quanto sancito dalla Dichiarazione al caso specifico di questa radicale manipolazione biotecnologica della vita umana individuale. Del resto, la Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo dell’UNESCO (Parigi, 1997), affrontando – pur non senza qualche rilevante ambiguit? ed omissione – la questione del riconoscimento e della protezione del patrimonio genetico dell’uomo, ha saputo trovare nell’affermazione dei diritti e della inalienabile dignit? di ogni essere umano il fondamento giuridico per l’esigenza di una normazione delle condizioni di esercizio dell’attivit? di ricerca che concerne l’identit? e l’individualit? biologica dell’uomo.



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La possibilit? che la tecnica di clonazione per trasferimento del nucleo di una cellula somatica in un ovocita enucleato (Somatic Cell Nuclear Transfer, SCNT) fosse applicata anche all’uomo apparve come non escludibile di principio gi? all’indomani della nascita del primo ovino clonato, avvenuta nel 1996 e resa nota nei primi mesi dell’anno successivo (I. Wilmut et al., Nature 1997, 385: 810-813). A quella data, in un numero limitato di Stati erano gi? in vigore da alcuni anni leggi che implicitamente o espressamente vietavano i tentativi di clonazione di embrioni umani per scopi di ricerca o eugenetici. Tra di essi figuravano il Brasile (1995), il Canada (1996), la Germania (1990), la Danimarca (1992), la Norvegia (1994), la Slovacchia (1994), la Spagna (1988), la Svezia (1991), la Svizzera (1982) ed il Regno Unito (1990). Sotto la spinta dell’emozione e della reazione suscitata in larga parte dei cittadini e dei loro rappresentanti politici dalla notizia di una nuova tecnica per la clonazione dei mammiferi, alcuni Stati (quali Argentina, Cina, Israele, Italia, Nuova Zelanda e Stati Uniti) approntarono d’urgenza strumenti normativi per proibire l’applicazione della SCNT alla generazione umana, consentendone per?, in alcuni casi, l’impiego in campo animale. Infine, altri Paesi – come la Bulgaria, il Cile, la Russia, la Francia, l’India, il Giappone e il Portogallo – hanno preferito delegare a commissioni ad hoc o ad organismi governativi il compito di pronunciarsi sulla delicata materia e di rassicurare la pubblica opinione.


Anche a livello europeo e mondiale la reazione alle notizie provenienti dai laboratori nei quali era in corso la sperimentazione della clonazione animale non si fece attendere. La sensibilit? della comunit? internazionale ai problemi etici e giuridici posti dallo sviluppo scientifico e tecnologico era cresciuta rispetto a quando – a seguito della Conferenza di Teheran (1968) – l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva adottato la risoluzione 2540 (XXII) intitolata Diritti dell’uomo e progresso della scienza e della tecnica. Gi? dopo pochi anni, la stessa Assemblea Generale aveva chiesto agli Stati di impedire che alcune realizzazioni tecnologiche fossero utilizzate a detrimento dei diritti e delle libert? fondamentali dell’uomo e contro la sua dignit? (Dichiarazione sull’uso del progresso scientifico e tecnologico nell’interesse della pace e per il bene dell’umanit?: risoluzione 3384 [XXX]).


Dalla met? degli anni ’80, nell’ambito delle Nazioni Unite e degli istituti e organismi ad esse collegati sono state elaborate e adottate numerose risoluzioni e dichiarazioni che riconoscono la preminenza dei diritti e degli interessi dei singoli e dei popoli sulle modificazioni individuali ed ambientali conseguenti a talune applicazioni della ricerca scientifica. In ambito europeo gli strumenti giuridici sono stati ancora pi? puntuali e incisivi, giungendo alla stipulazione di atti che impegnano la volont? degli Stati e risultano vincolanti per i firmatari. Tra questi strumenti, la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignit? dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, adottata il 19 novembre 1996 al termine di un negoziato protrattosi per oltre cinque anni e firmata ad Oviedo (4 aprile 1997) all’indomani della diffusione della notizia del primo esperimento riuscito di clonazione di un mammifero mediante SCNT, istituiva per la prima volta un quadro di riferimento organico del livello minimo di protezione giuridica da accordare alla vita, all’integrit? ed alla dignit? dell’uomo nei confronti delle attivit? cliniche e di ricerca della biomedicina. Tali standard si configurano come inderogabili da parte degli Stati firmatari (attualmente 31, dei quali solo 13 hanno ratificato la firma), anche se ognuno di essi pu? adottare o mantenere, nei propri ordinamenti, livelli di protezione superiori a quelli sanciti dalla Convenzione (cfr art. 27).


La Convenzione di Oviedo conteneva gi? gli elementi giuridici per una proscrizione della clonazione umana: l’articolo 2 (“L’interesse e il bene dell’essere umano devono prevalere sul solo interesse della societ? o della scienza“), che recepisce il dettato della Dichiarazione di Helsinki (1964, art. 5) dell’Associazione Medica Mondiale, e l’articolo 18.2 (“La creazione di embrioni umani per fini di ricerca ? proibita“) hanno un diretto riferimento alle condizioni e alle conseguenze di un atto clonatorio. Il Consiglio d’Europa, “prendendo atto degli sviluppi scientifici intervenuti in materia di clonazione dei mammiferi“, ritenne per? necessario stipulare un Protocollo addizionale alla Convenzione, firmato a Parigi il 12 gennaio 1998, attraverso il quale “? proibito ogni intervento avente come obiettivo quello di creare un essere umano geneticamente identico ad un altro essere umano, vivente o morto” (art. 1.1). Successivamente, il Parlamento europeo – con una risoluzione del 7 settembre 2000 – si ? espresso ancora una volta contro la clonazione, chiedendo inoltre, “a livello delle Nazioni Unite, una messa al bando universale e specifica della clonazione degli esseri umani a tutti gli stadi di formazione e sviluppo” (par. 10).


Il fronte di opposizione culturale e morale alla clonazione umana, nato nel 1997 e apparentemente risoluto e puntuale anche a livello del diritto internazionale, venne ben presto incrinato dal diffondersi, anche a livello della pubblica opinione, di notizie su progetti di ricerca aventi come scopo la terapia di alcune malattie mediante la rigenerazione di tessuti ad opera di cellule staminali ottenute da embrioni umani clonati con la tecnica SCNT. Il carattere promettente di questa ricerca – enfatizzato oltre ogni realistica previsione degli stessi studiosi da interessi talora estranei al contesto scientifico e medico nel quale era sorta – port? alcuni giuristi e uomini politici a ritenere che un divieto della clonazione umana tout court avrebbe potuto impedire lo svolgimento di questi progetti e ledere i diritti e gli interessi dei ricercatori e degli stessi pazienti affetti da malattie candidate alla nuova terapia cellulare. Venne cos? introdotta surrettiziamente, anche a livello giuridico, la distinzione – avente pretesa di referenza biologica ed etica – tra “clonazione riproduttiva” e “clonazione terapeutica”, nel tentativo di consentire la produzione di embrioni umani clonati non destinati allo sviluppo e alla nascita di un bambino bens? all’estrazione di cellule staminali embrionali autologhe.


Tale distinzione arbitraria ? stata adottata anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza, 2000) che, all’articolo 3.2, prevede “la proibizione della clonazione riproduttiva degli esseri umani“. Nel preambolo del documento, per il momento sprovvisto di efficacia giuridica vincolante, in quanto non integrato nel corpus dei Trattati, l’Unione Europea dichiara di porre “la persona al centro della sua azione“, e allo stesso articolo 3 riconosce il diritto all’integrit? fisica di ciascun individuo, proibendo le pratiche eugenetiche e l’uso del corpo umano e delle sue parti a scopo di profitto. L’incongruenza pu? essere compresa solo sul presupposto, assunto senza giustificazione, di una esclusione dell’embrione dal novero dei soggetti umani aventi diritto ad una tutela giuridica della propria vita; ci? appare in contrasto con quanto disposto dalla Convenzione di Oviedo, che chiede “una protezione adeguata dell’embrione” (art. 18.1) e con il “fatto che l’embrione ? un individuo umano e, come tale, ? titolare dei diritti inviolabili dell’essere umano. La norma giuridica, pertanto, ? chiamata a definire lo statuto giuridico dell’embrione quale soggetto di diritti che non possono essere disattesi n? dall’ordine morale n? da quello giuridico” (Giovanni Paolo II, Lectio magistralis, l.c., p. 5).


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Tra coloro che non ravvisano la necessit? e l’urgenza di una proscrizione internazionale di ogni forma di clonazione umana – o addirittura si oppongono risolutamente ad una simile iniziativa – vi ? chi si appella ad alcuni diritti umani che risulterebbero violati da un divieto assoluto di accesso alla clonazione da parte di ricercatori e pazienti, oppure intende giustificare la preferibilit? di una vacatio legis in presenza di una “conflittualit? inconciliabile” di diritti esigibili da diversi soggetti implicati nell’intervento clonatorio.


Il diritto invocato pi? frequentemente ? quello alla libert?. Si afferma che la messa al bando della clonazione umana restringerebbe due importanti espressioni della libert?, la “libert? della scienza” e la “autonomia riproduttiva”. Riguardo alla seconda, la tesi che essa sarebbe violata da una indisponibilit? della clonazione per la nascita di un bambino appare insostenibile a fronte delle diverse opzioni (inclusa l’adozione) attualmente a disposizione delle coppie affette da sterilit? o che temono di trasmettere una anomalia genetica ai figli. La prima, chiamata in causa dai fautori della clonazione per scopi terapeutici e di ricerca, si appoggia agli articoli 18 (“Ogni individuo ha diritto alla libert? di pensiero“) e 19 (“Ogni individuo ha diritto alla libert? di opinione e di espressione“) della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ed alla Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1996), che prevede che “gli Stati firmatari […] si impegnino a rispettare la libert? indispensabile per la ricerca scientifica” (art. 15.3). Anche l’articolo 27.1 della stessa Dichiarazione universale (“Ogni individuo ha diritto […] di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici“) ? stato ripreso in questo contesto. Di fronte ad una tale interpretazione sorge anzitutto una considerazione epistemologica: le scienze biologiche e mediche non sono solo una forma di sapere teorico ma anche (e oggi soprattutto) sperimentale. Se ? vero che “la libert? di ricerca […] fa parte della libert? di pensiero” (Dichiarazione universale sul genoma umano, art. 12b), la “libert? di sperimentazione” non ? coestensiva con la “libert? di ricerca”.


Inoltre, non si pu? dimenticare che la libert? di manipolazione della realt? fisica attraverso una qualsivoglia tecnica, a differenza della libert? di coscienza, non ? assoluta: “Ci? che ? tecnicamente possibile fare non ? per ci? stesso moralmente ammissibile” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum vitae, Intr., 4). A fortiori questo principio si applica quando l'”oggetto” della sperimentazione ? un soggetto umano, come ? stato riconosciuto – tra gli altri documenti – dalla Dichiarazione di Helsinki, dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (1966), dalla Convenzione di Oviedo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.


Anche il c.d. “diritto alla salute” (pi? precisamente, il diritto a “un accesso equo ad una cura della salute di qualit? appropriata“: Convenzione di Oviedo, art. 3) e quello a “beneficiare del progresso scientifico” nel campo della biologia e medicina (cfr Dichiarazione universale sul genoma umano, art. 12a; Conferenza mondiale “La scienza per il XXI secolo” [UNESCO-CIUS: Budapest, 1999], Dichiarazione sulla scienza e l’utilizzazione del sapere scientifico, art. 5) sono stati invocati a difesa della clonazione per la terapia cellulare. A questo proposito non si pu? dimenticare che la ricerca sulla produzione di cellule staminali autologhe mediante SCNT, mentre non costituisce affatto l’unica strada verso la terapia cellulare (altre sorgenti di cellule staminali sono state identificate e vengono attentamente studiate) n? ? certo che possa contribuire alla “cura della salute” di molti o anche solo di alcuni pazienti, rappresenta gi? al suo avvio una sicura violazione del diritto alla vita degli embrioni clonati, non essendo possibile prelevare le cellule della massa cellulare interna di una blastocisti senza distruggere l’embrione. Anche ad una considerazione puramente proporzionalista dell’agire dell’uomo – che trascura il valore fondamentale della sua vita e l’intrinseca inaccettabilit? della sua soppressione – i possibili e futuri benefici derivanti dalla ricerca sulla clonazione c.d. “terapeutica” non reggono il confronto con le sicure ed attuali violazioni dei diritti e della dignit? dell’uomo poste in essere da una sperimentazione, anche limitata, della clonazione umana per scopi terapeutici. La tutela del “diritto alla salute” e a “beneficiare del progresso scientifico” di chi ? gi? nato non pu? passare attraverso la violazione del diritto alla vita e alla integrit? fisica di chi ha appena iniziato il proprio sviluppo prenatale.


Affinch? taluni diritti di alcuni possano essere affermati e difesi, tutti i diritti di tutti devono essere riconosciuti e protetti, in primo luogo quello, fondamentale, alla vita. “Tutti i diritti umani sono universali, indivisibili, interdipendenti e intercorrelati. La comunit? internazionale deve considerare i diritti umani globalmente in modo giusto ed equo, sulla stessa base e con lo stesso rilievo. Sebbene non si debba dimenticare il significato delle particolarit? nazionali e regionali e dei diversi orizzonti storici, culturali e religiosi, ? dovere degli Stati, indipendentemente dai loro sistemi politici, economici e culturali, promuovere e salvaguardare tutti i diritti umani e le libert? fondamentali” (Conferenza mondiale sui diritti umani, Dichiarazione di Vienna, 1993, parte 1, art. 5).


La Chiesa sente il “dovere di impegnarsi per il rispetto della vita di ciascun essere umano dal concepimento fino al suo naturale tramonto. Allo stesso modo, il servizio all’uomo ci impone di gridare, opportunamente e importunamente, che quanti s’avvalgono delle nuove potenzialit? della scienza, specie sul terreno delle biotecnologie, non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell’etica, appellandosi magari ad una discutibile solidariet?, che finisce per discriminare tra vita e vita, in spregio della dignit? propria di ogni essere umano. Per l’efficacia della testimonianza cristiana, specie in questi ambiti delicati e controversi, ? importante fare un grande sforzo per spiegare adeguatamente i motivi della posizione della Chiesa, sottolineando soprattutto che non si tratta di imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di interpretare e difendere i valori radicati nella natura stessa dell’essere umano. La carit? si far? allora necessariamente servizio alla cultura, alla politica, all’economia, alla famiglia, perch? dappertutto vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino dell’essere umano e il futuro della civilt?” (Giovanni Paolo II, Lett. apost. Novo Millennio ineunte, 51).