La stampa, anche nazionale, si è molto occupata della sentenza di assoluzione in appello della farmacista triestina, ma operante a Monfalcone, che si era rifiutata di vendere la cosiddetta pillola del giorno dopo (che può avere effetti abortivi) ad una coppia che ne aveva fatto richiesta nella farmacia ove lavorava.
Il fatto risale ormai a cinque anni fa. L’assoluzione era già arrivata in primo grado, ma la procura aveva fatto ricorso e siamo così arrivati a questa seconda sentenza di assoluzione.
Ho seguito questa vicenda, che aveva come protagonista principale una fedele della nostra diocesi, con grande partecipazione e vicinanza, nonché con ammirazione per la coerenza di vita e il coraggio della testimonianza da ella dimostrato.
Gran parte dei commenti è stata di soddisfazione, e giustamente. La dottoressa aveva fatto obiezione di coscienza circa la sua collaborazione ad una interruzione di gravidanza per via chimica, aveva rischiato sulla propria pelle e, come una moderna Antigone, aveva preferito obbedire alla legge degli dei piuttosto che a quella degli uomini.
L’evento è degno della massima attenzione anche per il suo contenuto, ossia il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza. A questo proposito l’occasione è propizia per fare qualche ulteriore riflessione.

Alla criminale decisione del Ministero della Sanità di sabato scorso 8 agosto ha risposto… il silenzio dei Vescovi!
Ricorre oggi il 50° anniversario dell’
L’obiezione di coscienza e i suoi fondamenti.
Di fronte all’approvazione definitiva della legge sul testamento biologico, la prima osservazione, amara, è che la Chiesa italiana ha perso una battaglia che peraltro non ha neanche combattuto.
Approvata la legge che apre all’eutanasia.