Aborto legale 1978-1996: bilancio di un fallimento

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Delle centinaia di morti in disastri aerei si parla a lungo, come ? giusto che sia. Delle migliaia di morti che insanguinano i conflitti civili in corso in varie zone del globo, a cominciare dal Burundi, nella lotta che contrappone Hutu e Tutsi, si dice molto meno: ? una delle tante conferme che il principio di uguaglianza non vale per i mass media. Delle decine di migliaia di esecuzioni capitali e di eliminazioni fisiche di minori handicappati eseguite nella Repubblica Popolare Cinese ogni anno non si sa quasi nulla: qualche notiziola sulla stampa, e niente di pi?.


Le cifre del genocidio


Delle 138.379 condanne a morte eseguite in Italia nel 1995 non ? di bon ton nemmeno fare cenno. Eppure tante sono state le vittime in un solo anno della legge peggiore mai approvata nel paese e applicata al popolo italiano: la n. 194 del 22 maggio 1978, che da circa vent’anni disciplina la pratica dell’aborto “legale”. Tale legge prevede, fra l’altro, che ogni dodici mesi il ministro della Sanit? invii una relazione al Parlamento sull’attuazione delle sue norme: nella seconda met? del mese di luglio del 1996 l’on. Rosy Bindi ha provveduto all’adempimento, compilando l’elaborato, corredato da tabelle, grafici e valutazioni (1).


Il primo dato che emerge ? quello appena sottolineato, pari al numero degli aborti eseguiti in Italia nel 1995 con il finanziamento e con l’assistenza delle strutture pubbliche; ? un dato che il ministro della Sanit?, che ha sempre presentato s? stessa come portabandiera del solidarismo cattolico nelle file della coalizione dell’Ulivo, liquida in modo asettico nelle prime righe della relazione, per passare ad altro: si limita a scrivere che vi sono state “138.379 IVG” ( 2 ).


“IVG” – come tutti sanno – sono le iniziali di “interruzione volontaria della gravidanza”, che ? una elegante circonlocuzione adoperata per non pronunciare il pi? impegnativo e traumatico termine “aborto”; il grado di asetticit? ? poi pi? elevato se si pronunciano le sole iniziali, che richiamano alla mente pi? i treni ad alta velocit? francesi degli strumenti del ginecologo.


A quasi vent’anni di distanza dall’introduzione della legge n. 194, frutto maturo – insieme con la riforma sanitaria, la riforma della psichiatria, il nuovo regime dei suoli e il cosiddetto “equo canone”, introdotti tutti nel 1978 – del compromesso storico e della solidariet? nazionale, il punto nodale, sul quale i difensori a oltranza dell’aborto “legale” continuano a evitare imbarazzate risposte, riguarda l’identit? del nascituro: se questi ? un grumo di cellule, un’appendice della madre, una speranza di vita o un’aspettativa di esistenza, non vale la pena di parlarne.


Ma allora ? superfluo che il ministro della Sanit? e le sue strutture sprechino tempo ed energie per presentare una relazione al Parlamento; non si producono relazioni per fare analisi comparative delle operazioni di appendicite o degli interventi di unghia incarnita.


Se invece – come la biologia e la medicina sostengono con argomenti inconfutabili ( 3 ) – fin dal momento del concepimento ci si trova davanti a un essere umano, dotato di patrimonio genetico completo, unico e irripetibile, nel quale ? scritto se sar? uomo o donna e quale sar? il colore dei suoi capelli, la sua soppressione ha un solo nome: omicidio. E in Italia nel 1995 sono stati consumati 138.379 omicidi “legali”, dei quali lo Stato ? il complice principale. Giova a poco confrontare questo dato con quello del 1994 – 142.657 aborti – e constatare che vi ? stato un lieve decremento; sarebbe come se il responsabile di un Lager nazionalsocialista avesse fatto sfoggio di umanitarismo per aver eliminato in un anno qualche internato in meno rispetto ai dodici mesi precedenti. Forse impressiona di pi? il dato globale: dal 1978 a oggi le vittime dell'”IVG” in Italia sono state circa 3.500.000; ? azzardato parlare di olocausto? ? provocatorio far notare che si ? oltrepassato il doppio della somma delle vittime italiane nelle due guerre mondiali? ? assurdo sostenere che un cos? generalizzato disprezzo per la vita del pi? debole non pu? far meravigliare di nulla?


? iniziata, davanti alla Commissione Giustizia della Camera, la discussione su una proposta di legge mirante a punire lo sfruttamento sessuale dei minori, e cio? a impedire o a limitare pratiche fra le pi? turpi della “civilt?” nella quale siamo immersi; ? lecito domandarsi se la violazione dell’integrit? di tanti innocenti non rappresenti comunque un minus rispetto alla violazione della stessa esistenza in vita di tanti altri innocenti? Non ? il caso di chiedersi se vi ? connessione fra la banalizzazione dell’aborto – della quale ? sintomo la sua riduzione a “IVG” e l’assenza di qualsiasi commento negativo da parte di un ministro che vanta la sua provenienza dalle file dell’associazionismo cattolico – e la banalizzazione del sesso e della violenza, anche a danno dei bambini?


 


Aborto, scelta “di cultura”


Non ? tutto. La lettura della relazione dell’on. Rosy Bindi consente di riaffermare che la legge n. 194 ? stata un fallimento anche quanto agli scopi sui quali i suoi promotori avevano insistito per ottenere l’approvazione. L’on. Giovanni Berlinguer, che ne ? stato uno dei relatori alla Camera prima della sua approvazione nel 1978, scriveva pochi giorni dopo la sua entrata in vigore, che “la legge si propone […]: di azzerare gli aborti terapeutici; di ridurre gli aborti spontanei; di assistere quelli clandestini. Si propone inoltre di favorire la procreazione cosciente, di aiutare la maternit?, di tutelare la vita umana dal suo inizio” ( 4 ). Si pu? provare a fare il bilancio dell’effettivo conseguimento di tali scopi sulla base del documento del ministro della Sanit??


Gli “aborti terapeutici” sono quelli “legali” tout court, perch? l’articolo 4 della legge n. 194 include le varie circostanze la cui semplice evocazione autorizza a ricorrere all’intervento interruttivo sotto un’unica e vaga indicazione di salute, considerata non come assenza di patologie rilevanti, ma come benessere fisiopsichico inteso in senso ampio. Che ancora oggi gli aborti detti “terapeutici” siano 138.379, che dal 1978 la media annua sia stata di circa 200.000 unit?, e che per ogni 4 nati vivi vi sia un aborto volontario conferma che la pratica abortiva ? diffusa capillarmente e proprio per questo non ? spiegabile in modo esclusivo, e nemmeno prevalente, da situazioni eccezionali o da difficolt? insuperabili. Essa ? invece, nonostante le proclamazioni normative di segno opposto, uno strumento di controllo delle nascite; n? pu? sostenersi che sarebbe meno ampia se la contraccezione artificiale fosse pi? conosciuta e praticata, perch? ? vero esattamente il contrario: scrive l’on. Rosy Bindi che, secondo […] indagini dell’Istituto Superiore di Sanit?, di altri istituti di ricerca e di alcune regioni […] almeno nel 70-80% dei casi, il ricorso all’aborto volontario avrebbe la finalit? di interrompere una gravidanza non desiderata intervenuta a seguito del fallimento o di un uso scorretto dei metodi per il controllo della fertilit?” (5).


Il profilo medio della donna che abortisce ? del tutto coerente con queste conclusioni: si tratta infatti di una gestante che nella gran parte dei casi ? coniugata – 57.5%, con punte del 72.8% al Sud -, non separata n? divorziata – soltanto il 5.1% -, in et? compresa fra i 25 e i 34 anni, con sufficiente livello di istruzione – il 48.5% ha il diploma di scuola media inferiore, il 32.3% il diploma di scuola media superiore, e soltanto l’1.5% non ha alcun titolo di studio – e con non pi? di due figli: in particolare, il 37.9 % non ha alcun figlio, il 20.3 % ne ha uno, il 27.9% ne ha due. Pertanto ? una donna che si trova in condizioni ottimali, per lo meno sotto questi profili, per accogliere il nascituro. Si legge nella relazione di […] un andamento inversamente proporzionale […] tra ricorso alla IVG e numero dei figli” ( 6 ), e che […] ? decisamente pi? basso il tasso di abortivit? nelle donne che hanno gi? partorito tre figli e scende ulteriormente, in modo netto, in quelle che ne hanno 4 o pi?” (7 ): dunque, contro i luoghi comuni di vent’anni fa, che avevano costituito i cavalli di battaglia della campagna in favore dell’aborto, se una donna ha deciso di non aver figli lo fa a ogni costo, anche ricorrendo all’intervento abortivo, mentre se il suo atteggiamento ? gi? stato di accoglienza della vita ? pi? propensa a confermarlo all’arrivo di una nuova creatura.


Per concludere sul punto: se quelle riportate sono le caratteristiche della gestante che pratica con maggior frequenza l’aborto, quest’ultimo non ?, nella gran parte dei casi, una “dolorosa necessit?”, ma ? un’opzione culturale, favorita, avallata e sostenuta finanziariamente dallo Stato. Oggi lo stesso Stato da un lato elimina progressivamente l’assistenza sanitaria e la gratuit? dei farmaci anche a chi ne ha reale necessit?, con “strette” finanziarie sempre pi? pesanti, dall’altro non rinuncia a stanziare i fondi per il genocidio sistematico in atto da due decenni.


 


Aborti clandestini e degli extracomunitari


E gli altri obiettivi enunciati a suo tempo dall’on. Giovanni Berlinguer?


La legge 194 ha fallito pure sul versante della lotta alla clandestinit?, se ? vero, come scrive il ministro della Sanit?, che l’aborto clandestino avrebbe raggiunto nel 1994 le 45.000 unit?: l’uso del condizionale ? d’obbligo per l’impossibilit? di disporre di dati precisi. Qual’? poi la maggiore coscienza della procreazione, che la legge n. 194 doveva favorire, se, come si osserva nella relazione, “oltre un quarto delle donne che ricorrono alla IVG vi hanno gi? fatto ricorso una o pi? volte in occasioni precedenti” (8)? L’area della recidivit? riguarda, per l’esattezza, il 26.3% delle gestanti che hanno abortito nel 1994, con punte allarmanti del 41.7% in Puglia e del 35.3% in Sicilia. Infine, con riferimento agli intenti dell’on. Giovanni Berlinguer, ? inutile spendere altre parole sull’aiuto alla maternit? e alla tutela della vita umana, perch? la legge n. 194 ha conferito il “diritto” di sopprimere ci? che fa diventare madre, e quindi di violare irreparabilmente la vita umana.


Ma non basta. Un profilo preoccupante della banalizzazione del ricorso all’aborto ? l’assenza della fase della dissuasione, che pure la legge prevede: secondo quest’ultima, quando la gestante si rivolge al consultorio, o a una struttura sociosanitaria, o al proprio medico di fiducia, costoro dovrebbero indurla a riflettere, prospettando le possibili alternative all’aborto. Per verificare se ci? accade realmente ? sufficiente constatare che nel 1994 il 75% degli aborti sono avvenuti dietro semplice certificazione del medico di fiducia o del servizio ostetrico-ginecologico: il che vuol dire che la “dissuasione” ? coincisa con il rilascio dell’attestazione di gravidanza, necessaria per sottoporsi all’intervento. Solo il 23.4% delle donne ? passata dai consultori: non che, di regola, i dipendenti di tali strutture facciano qualcosa di pi? rispetto al medico; il fatto ? che andare dal proprio medico ? pi? comodo. Manca poi qualsiasi statistica, che pure potrebbe e dovrebbe essere compilata, con tutte le garanzie di anonimato per le interessate, relativamente al numero delle gestanti che hanno rinunciato ad abortire perch? “dissuase”: ma ? facile immaginarne i risultati, qualora fosse eseguita.


Il non funzionamento delle strutture pubbliche, che dovrebbero aiutare e sostenere le situazioni di effettiva difficolt?, ? rivelato ulteriormente da un dato che pu? apparire marginale, e che invece deve far riflettere: […] le IVG effettuate da donna residente all’estero – si legge nella relazione – sono passate, secondo un trend di incremento costante, da 461 casi nel 1980 a 1718 casi nel 1994″ (9).


Chi parla di solidariet? e di cultura dell’accoglienza verso gli immigrati provenienti da zone sottosviluppate non ? poi in grado di offrire alle gravidanze delle extracomunitarie “aiuto” diverso dall’aborto; la mano tesa dell’Italia a chi viene dall’estero con un carico di problemi superiore al nostro ? il lettino dell'”IVG”!


 


Prospettive


La relazione del ministro della Sanit? si chiude con l’enunciazione di alcune buone intenzioni; eccone un saggio significativo: […] una considerazione anche pi? ampia delle strategie di prevenzione dell’aborto volontario, nel quadro di una pi? complessiva politica di tutela e di promozione della vita e della sua autentica e piena dignit?, a cominciare dall’et? infantile e dall’et? evolutiva, ? auspicabile venga fatta propria dalle stesse forze politiche e dalle rappresentanze parlamentari cui non mancher? il sostegno e la sollecitazione attenta del Governo” (10).


Nulla di pi? e di preciso in tema di prospettive di aiuto alla maternit? in genere, e a quella difficile in particolare; nulla quanto a sostegni alle famiglie; nulla a proposito di una seria educazione alla vita; nulla in favore delle associazioni di volontariato impegnate nell’accoglienza della vita. Chiss? se i cattolici, e in particolare i vertici dell’associazionismo cattolico, che il 21 aprile 1996 hanno dichiarato apertis verbis di preferire l’Ulivo, sono entusiasti di impegni cos? vaghi. Chi dell’Ulivo ? avversario nel Parlamento e nella realt? nazionale non pu? non raccogliere l’auspicio del ministro e promuovere “una pi? complessiva politica di tutela e di promozione della vita” (11), partendo dal presupposto – ovvio, ma oggi negato di diritto e di fatto – che la vita non pu? essere promossa quando la si sopprime.


 


Alfredo Mantovano


Articolo apparso in Cristianit?, N. 256-257 agosto-settembre 1996


 


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( 1 ) Cfr. Relazione del ministro della Sanit? sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternit? e per l’interruzione volontaria della gravidanza (Legge 194/78). Dati preliminari 1995. Dati definitivi 1994.


( 2 ) Ibid., p. 1.


( 3 ) Cfr., fra gli altri, ELIO SGRECCIA, Manuale di bioetica, I. Fondamenti ed etica biomedica, nuova ed. aggiornata e ampliata, Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 361-385.


( 4 ) GIOVANNI BERLINGUER, La legge sull’aborto, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 168.


( 5 ) Relazione cit., p. 2.


(6 ) Relazione, cit., p. 3.


( 7 ) Ibidem.


( 8 ) Ibidem.


( 9 ) Ibid., p. 4.


( 10 ) Ibid., pp. 4-5.


( 11 ) Ibidem.