Charlie e le quattro spaccature dei pro-life

Sharing is caring!

Il caso del bambino inglese ha interrogato il mondo intero sulla vita e sulla morte. svelando i pensieri di molti cuori.
La vicenda solleva una domanda cruciale: la sofferenza ha un valore?

Non c’è via di mezzo: o la vita di ogni creatura e veramente di Dio e Dio è un padre buono, oppure l’uomo, sentendosi migliore di lui, si sostituisce al creatore, in fondo considerato sadico e crudele se permette la sofferenza di un suo figlio.
Il dramma, però, è che oggi le due visioni opposte non sono più nettamente attribuibili l’una ai cristiani e l’altra agli atei, ma si confondono fra fedeli e non. Svelando quanto la mentalità dei credenti si sia conformata a quella mondana.
È stata forse questa la principale funzione della vicenda legata alla malattia del piccolo Charlie Gard che ha interessato tutti i media occidentali: svelare i pensieri profondi di molti cuori su una questione, apparentemente di settore (cosa sia o non sia “accanimento terapeutico”), ma in realtà fondamentale (il senso e l’accettazione della sofferenza), chiarendo che non è più possibile stare nel mezzo. Bisogna scegliere, o con il mondo o con Cristo.

Charlie

La storia di Charlie apparve per la prima volta sui giornali inglesi tra il febbraio e il marzo del 2017, quando il bambino, nato a Londra il 4 agosto del 2016, aveva appena sei mesi. Venuto al mondo in forze, poco dopo cominciò a manifestare dalle anomalie preoccupanti che portarono i suoi giovani genitori, Chris e Connie Gard, a ricoverare il figlio presso l’ospedale che poi lo avrebbe letteralmente tenuto in ostaggio, il Great Ormond Street Hospital (Gosh).
Al principio, di fronte alle difficoltà respiratorie del paziente, i medici, come da prassi, lo avevano aiutato inserendogli nel naso un tubicino per l’ossigeno in modo da procedere con le visite per arrivare a una diagnosi ed eventualmente per trovare le cure necessarie a migliorare le sue condizioni di salute. A diagnosi avvenuta (deplezione del Dna mitocondriale), però, il Gosh decise che non vi era speranza di cura. Ma non per questo fu negata ai genitori la possibilità di tentare una terapia in Usa.

Peccato che pochi giorni dopo il consenso dei medici al trasferimento in Usa, i coniugi Gard si erano ritrovati con la richiesta di apparire davanti al giudice. Improvvisamente il Gosh domandava che fosse avviata immediatamente la sospensione della ventilazione che avrebbe provocato la morte immediata di Charlie. Non sapendo come combattere di fronte ad un colosso come il Gosh, Connie e Chris decisero di lanciare una raccolta fondi online per pagare le cure di Charlie in America, ottenendo un largo consenso fra il popolo della rete. In Europa e negli Stati Uniti sempre più persone venivano informate della vicenda, contribuendo a raggiungere la cifra necessaria per la terapia sperimentale, mentre l’iter giudiziario si complicava sempre più (a giugno l’Alta Corte Inglese confermava le sentenze precedenti che davano ragione al Gosh. come poi avrebbe fatto anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo).
A quel punto le proteste di fronte alle ambasciate inglesi, le chiamate incessanti a Santa Marta fino a costringere il Vaticano a intervenire, le lettere inviate alla Casa Bianca da tutto il mondo e le parole di Trump a favore della famiglia, obbligarono anche la stampa internazionale a parlare ogni giorno della vicenda.

Le posizioni in campo

È a questo punto che la comunità scientifica e cristiana non ha più potuto trincerarsi dietro il “chi sono lo per giudicare?”, cominciando cosi a dividersi, in entrambe le parti c’è stato chi ha difeso i Gard e chi l’ospedale. E fra chi era dalla parte dei famigliari si sono messi anche quanti lo hanno fatto solo in nome del diritto dei genitori a decidere della vita del bambino, evitando in ogni modo di assolutizzare il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale.
Dall’altra parte si è posto chi ha preso le parti dei medici, usando il termine di “accanimento terapeutico” per opporsi alla terapia americana appellandosi al fatto che non essendo ancora stata testata sull’uomo non doveva essere sperimentata, sebbene alcuni genitori di bambini nelle condizioni di Charlie fossero intervenuti sui media spiegando che proprio terapie simili non ancora testate avevano salvato i loro figli.
Da ultimo c’è stato chi, in nome di una presunta difficoltà del caso, ha continuato pilatescamente a invocare la prudenza senza giudicare.

In realtà, però, tutte e tre le posizioni, di primo acchito diverse, sono partite da un presupposto identico la vita è di Dio solo fino ad un certo punto, come se ne arrivasse uno talmente drammatico da spingere l’uomo a dover decidere se anche in quel caso la vita “valga la pena” o meno. Quasi a voler lasciare il comando a Dio solo fino ad una soglia per lui tollerabile.

Diversa da tutte le altre posizioni, quella minoritaria di chi chiedeva che Charlie fosse curato e, laddove non fosse possibile, che fosse comunque aiutato a respirare, ad alimentarsi e idratarli fino a morte naturale. Quest’ultimo giudizio parte invece dal presupposto che la vita, come bene assoluto e donato, va difesa in ogni caso, al di là della volontà dei medici, giudici o dei genitori.

Purtroppo però la similitudine fra le prima tre visioni a la differenza da quest’ultima sono emerse chiaramente solo alla fine del processo Gard.

La scelta dei genitori

Infatti, dopo mesi di battaglia, quando gli specialisti internazionali e quelli del Bambin Gesù, convinti che la terapia sperimentale americana che poteva aiutare Charlie a fare dei progressi non avrebbe più potuto avere gli stessi effetti di un trattamento iniziato mesi prima, Connie e Chris hanno avuto un cambio repentino di posizione.
Alla fine di luglio, in conferenza stampa, hanno dichiarato che a queste condizioni i muscoli del bambino erano lesi irreversibilmente e bisognava “lasciar andare Charlie” perché «la qualità della vita di nostro figlio non raggiungerebbe più quella che volevamo per lui». Si è capito così che i Gard erano stati disposti a lottare solo in nome di un certo e possibile miglioramento del bambino e non a voler provare a curarlo per quanto possibile e solo nel caso di inefficacia a sospendere le cure (solo se la terapia e inefficace o nociva, proseguirla è sinonimo di accanimento poiché il farmaco che ha il fine di curare non raggiunge il suo scopo), difendendo comunque e in ogni caso la sua vita fino a morte naturale, chiedendo il mantenimento dei sostegni vitali (che hanno appunto il fine di tenere in vita).

Pochi se ne sono accorti ma di fatto la decisione dei Gard, eretti a paladini pro life. ha gettato il popolo che aveva lottato al loro fianco in una confusione maggiore, insinuando nelle menti, anche cristiane, l’idea per cui «se anche i Gard hanno mollato di fronte all’impossibilità delle cure allora arriva un momento in cui “la qualità di vita” rende necessario privare il malato dei sostegni vitali». Ossia, è normale uccidere se il paziente non migliora secondo standard minimi stabiliti arbitrariamente.
Così, dopo aver urlato per mesi contro il Gosh e i suoi avvocati (attivisti pro eutanasia ben noti in Inghilterra), Chris e Connie alla fine hanno addirittura ringraziato il personale ospedaliero che chiedeva la morte del piccolo per soffocamento. Non a caso, l’unico attrito rimasto fino alla fine fra le due parti in causa è stato non tanto sulla sospensione della ventilazione, ma sul dove e quando praticarla, dato che i Card chiedevano che la ventilazione proseguisse in casa loro per un’altra settimana. In seguito, Chris e Connie hanno dichiarato che il loro figlio era morto venerdì 28 luglio alle 15, mentre la realtà è che Charlie è stato ucciso.

Ecco che, in appena qualche mese, privare una persona dell’ossigeno che il suo corpo è ancora in grado di ricevere (se non fosse stato in grado sarebbe morto molto prima), confermando la bontà del mezzo che raggiunge il suo fine (tenere in vita e non curare) anziché chiamarsi eutanasia è diventato nell’immaginario occidentale interruzione dell’“accanimento terapeutico”.

Preservare la vita

Non giudichiamo qui se la resa dei Gard sia avvenuta per debolezza e solitudine, ma sicuramente ha fatto emergere il cortocircuito della ragione nascosto anche nell’idea di quanti li difendevano, solo perché sarebbe la famiglia a dover scegliere. Dando ragione a Chris e Connie anche dopo le loro dichiarazione sulla “qualità della vita”, hanno ammesso che la vita vale la pena di essere sostenuta solo finché c’è possibilità di cura, altrimenti anche la ventilazione, nutrizione e idratazione diventano “accanimento”.
D’altra parte, però, dovendo continuare a difendere la libertà di decisione dei genitori che desideravano che il piccolo vivesse almeno un’altra settimana per passare qualche momento a casa con lui, hanno di fatto dovuto affermare che quello che chiamavano “accanimento” poteva essere perpetrato per sette giorni se lo voleva la famiglia.
Relativizzando così la verità, il bene e il male, relegati al rango di opinione umana, e generando contraddizioni di pensiero che costringono ad omettere particolari fondamentali esattamente come hanno fatto i medici e gli opinionisti, anche cattolici, che hanno parlato di “accanimento” sin dall’inizio per difendere il Gosh, dimenticando che un corpo che non può ricevere acqua, cibo e aria, anche se alimentato idratato e ossigenato non può reggere a lungo (non può essere il caso di Charlie che viveva da mesi anche senza cure, come hanno spiegato molti medici silenziati dalla grande stampa, fra cui quelli del Bambin Gesù, Renzo Puccetti e altri).

Infatti, ripetiamo se, pur con sofferenze, i tre sostegni vitali raggiungono i loro fine, che è quello di preservare la vita e non di curare, non si può parlare di “accanimento”.

La linea di confine

Ma allora cosa si nasconde nel pensiero di chi citava continuamente l’”accanimento terapeutico” sebbene il piccolo continuasse a vivere da mesi?
Di fatto l’idea che difendere la vita sofferente e forse prossima alla morte sia un errore, a meno di una speranza di miglioramento Se questa non c’è, la sofferenza va eliminata a costo della vita del paziente che tanto prima o poi deve morire (dunque meglio prima che poi).

È questo il nodo che segna la vera differenza fra tutte queste posizioni e quella di chi, genitori o no, media o no, giudici o no, è per favorire la vita con ogni mezzo e fino alla fine, finché morte naturale non arrivi inesorabilmente, come sarebbe arrivata prima o poi per Charlie anche con il respiratore applicato alle narici: l’amore per la vita finché c’è, sapendo che un secondo in più o in meno stabilito da Dio è a lui prezioso. E che implica l’accettazione della sofferenza, alleviata finché possibile, non cercata né voluta, ma messa in conto come permessa da Dio nella vita di ogni uomo.

E, infine, l’ammissione della possibilità, anche il secondo prima della morte, di un miracolo terapeutico per cui vale la pena tentare ogni cura, soprattutto se sono alte le probabilità di una morte imminente.
Invece, a chi sosteneva che se anche Charlie avesse continuato a soffrire (non vi era evidenza che provasse dolore) bisognava alleviare il più possibile i dolori, ma senza farlo morire per asfissia, veniva dato del sadico. Peccato che poi Chris e Connie abbiano raccontato che Charlie ci ha messo non 4 ma ben 12 minuti a morire soffocato e che, una volta privato dell’ossigeno, abbia sgranato gli occhi guardando i suoi genitori.
Come non vedere a questo punto l’ideologia in chi cercando di sostituirsi a Dio (che permette la malattia) fa danni peggiori di quelli a cui voleva porre rimedio?

Eppure questa posizione è stata sostenuta anche da scienziati e medici cristiani, benché tradisca la loro professione, nata proprio per tenere in vita le persone e lottare accanitamente (fino al sangue, dice san Paolo), costi quel che costi (la sofferenza), contro la morte (peccato).
Morte da accettare solo quando si presenti senza scampo, sapendo che non essendo noi onnipotenti come Dio non potremo mai “tenere in vita” nessuno quando questa giunge inesorabile. È come se. messi a nudo di fronte alla sofferenza di malati che magari prima di morire patiscono pene severe, anche i cristiani non reggessero più, chiedendosi che senso abbia “farli” vivere, dimenticando che anche quando la coscienza umana e ogni altra possibilità di comunicazione vengono meno resta viva l’anima che, misteriosamente, Dio vuole lasciar essere cosi, al cospetto dei suoi angeli. Motivo per cui si dovrebbe desiderare di stare il più a lungo possibile in ginocchio davanti a loro in adorazione.

Il mistero della sofferenza

Forse per questo la Madonna a Fatima chiese a dei bambini di offrire la loro vita per salvare le anime dei peccatori domandando loro penitenze severe (per amore a Dio indossavano il cilicio tutto il giorno), ricordando al suo popolo quello che stava dimenticando: il valore salvifico della sofferenza (soprattutto se innocente). Salvifico sia per l’anima che la prova (può servire a scontare gli anni di purgatorio che, come disse Santa Veronica Giuliani dopo averlo visitato, sono peggio di qualsiasi sofferenza da patire in terra) sia per tantissime altre anime.
Senza questa visione cristiana di Dio che chiede al Figlio di andare in Croce per poi glorificarlo, prevale la paura e quindi il possesso della vita nostra e altrui. E alla fede nel miracolo si sostituisce il razionalismo scientifico che non ammette terapia sperimentale non ancora testata sull’uomo, nemmeno nel caso in cui l’alternativa sia comunque, prima o poi, la morte. Se però la maggioranza è caduta nell’inganno luciferino per cui, se pure i Gard hanno mollato, era davvero giunto il momento di “staccare la spina”, altri si sono domandati il perché di questa improvvisa virata.

Forse la loro vera debolezza era in una lotta fin dall’inizio intrinsecamente parziale non contro l’eutanasia e per la vita, ma solo per una certa “qualità di vita”. Resta comunque strano che Chris e Connie alla fine abbiano ringraziato il personale ospedaliero che avevano attaccato duramente per mesi e che la settimana dopo la morte del figlio abbiano parlato di morte (non di omicidio) raccontando il desiderio di avere altri figli tramite una tecnica costosissima, “un tipo di fecondazione in vitro chiamata diagnosi genetica pre-impianto, dove gli embrioni sono monitorati per la loro condizione”. E ammettendo in poche parole la volontà di procedere con la “produzione” di altri figli da selezionare eugeneticamente in laboratorio, uccidendo quelli malati come Charlie e provando ad impiantare in utero i suoi fratelli “sani”.

Non è per rabbia, ma per la difesa di ciascun uomo che vanno caritatevolmente svelati i pensieri di tutti i cuori. Come ha fatto in silenzio, sofferente come agnello innocente per la nostra salvezza, il piccolo Charlie Card.

 

Benedetta Frigerio, La lezione di Charlie, da: Il Timone, 10/2017 n° 166

Lascia un commento