L’eutanasia avanza grazie… ai cattolici?

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SUICIDIO ASSISTITO

Consulta, le aspettative ci spingono a giocare d’attacco

di Tommaso Scandroglio

34 associazioni cattoliche propongono di affievolire la pena per chi istiga al suicidio.
Ma il “cedere per non perdere” ha sempre e solo portato alla sconfitta.

Il Sottosegretario Giorgetti dice che è impossibile arrivare entro settembre a una legge sulla revisione del suicidio assistito, per liberalizzarlo o per mitigare le pene. Un buon motivo per giocare d’attacco e proporre una legge che modifichi in meglio la legge 219 e creare parallelamente una mobilitazione popolare. Chi l’ha detto che la miglior strategia sia quella di giocare di rimessa?

Torniamo a trattare del Convegno “Diritto” o “condanna” a morire per vite “inutili”?. Il Servizio sanitario verso la “cultura dello scarto” dopo l’ordinanza 207/18 della Corte costituzionale pro-eutanasia?, svoltosi a Roma l’11 luglio scorso. Convegno che ha visto lodevolmente la partecipazione di moltissime sigle associative cattoliche, ben 34, e di numerosi politici di vari schieramenti. Il convegno riverbera in sé un certo fermento presente in ambito cattolico relativo all’ordinanza della Corte costituzionale che ha chiesto al Parlamento di modificare, entro il 24 settembre prossimo, l’art. 580 cp che sanziona il reato di aiuto al suicidio. A tal proposito vien da chiedersi – e non è domanda retorica, ma sentita – per quale motivo questo stesso fermento non si è registrato prima del varo della legge 219/2017 che ha pienamente legittimato l’eutanasia nel nostro Paese e che è stata decisione giuridica ben più grave dell’ordinanza della Consulta, la quale, tra l’altro, non ci sarebbe stata se non si fosse approvata la legge. Lasciamo la risposta ai sociologi.

Il convegno è stato costellato da numerosi interventi assai significativi e preziosi, ma, prima di arrivare al nocciolo duro oggetto dei lavori del convegno, sottolineiamo una stranezza: per molti di coloro che sono intervenuti ed anche secondo il comunicato stampa rilasciato dagli organizzatori del convegno, la Corte spingerebbe per introdurre l’eutanasia nel nostro Paese. Ma l’eutanasia è già legittimata dalla legge 219/2017. Curioso che gli addetti ai lavori presenti l’altro giorno a Roma non se ne siano accorti.

Veniamo però ora al cuore del convegno che batteva giustamente intorno ad un interrogativo e alla relativa risposta: cosa fare dopo la già citata ordinanza della Consulta che chiede al Parlamento di intervenire sul reato di aiuto al suicidio? Attualmente all’esame del Parlamento vi sono diversi disegni di legge che vorrebbero portare a compimento l’indicazione della Consulta (a dire il vero nessun partito vuole davvero arrivare ad una legge su una tematica così divisiva: si tratta quindi di una pantomima legislativa). L’orientamento prevalente che è emerso nel convegno e che è stato indicato chiaramente nel comunicato stampa diramato dagli organizzatori dello stesso è il seguente: non legittimare l’aiuto al suicidio, non depenalizzarlo, bensì mitigare le pene attualmente previste. L’intento è quello meritorio di evitare che, se non si vara una legge, sarà la Consulta il 24 settembre a scrivere lei una “legge” sul suicidio assistito assai libertaria. Il disegno di legge dell’on. Alessandro Pagano della Lega si muove in questa direzione, volta a mitigare le pene dell’art. 580 cp, e dunque pare essere il disegno di legge più apprezzato dalla maggioranza dei rappresentanti dell’associazionismo cattolico presente a Roma l’11 luglio scorso e su cui far convergere il consenso sociale ed ecclesiale.

Precisiamo ancor meglio le riserve già espresse da queste pagine in merito a tale soluzione. Proporre o votare una legge che sanziona, seppur più lievemente, una condotta moralmente illecita per il bene comune non è azione di per sé malvagia. Può diventarla se la pena non è proporzionata alla gravità del male compiuto e alla responsabilità soggettiva, non riuscendo così a soddisfare la triplice finalità della pena: retributiva, pedagogica e di deterrenza. Ad esempio un mese di carcere per chi ha aiutato una persona a suicidarsi sarebbe una pena ingiusta. Parimenti ci pare ingiusta la pena prevista dal Ddl Pagano: da sei mesi a due anni. Tanto per capirci, per l’abbandono, non l’uccisione, di animali è previsto l’arresto fino ad un anno. E già qui ci sarebbe un primo motivo di riserva per rifiutare di affievolire il rigore della pena prevista dall’art. 580: una norma ingiusta non può essere votata o proposta.

Ma facciamo finta che tale pena mitigata sia comunque giusta perché proporzionata al fatto commesso e alla responsabilità soggettiva. Chi sostiene questa modifica, potrebbe così giustamente ragionare: il fine perseguito tramite l’azione materiale di mitigare le pene, posto che tale mitigazione sia giusta, è moralmente lecito, ossia evitare che la Corte licenzi una disciplina normativa che legittimi o depenalizzi l’aiuto al suicidio. Gli effetti negativi tollerati e non ricercati direttamente tra i molti sarebbero i seguenti: minor efficacia della pena in ordine al fine pedagogico e al fine dissuasivo, collaborazione materiale nell’agevolare la diffusione nella collettività dell’idea che l’aiuto al suicidio non è poi una condotta così malvagia, applicazione più disinvolta della legge 219 sull’eutanasia. Venendo incontro a chi è favorevole a rendere più morbide le sanzioni dell’art. 580, potremmo anche spingerci a dire che gli effetti positivi sperati superano per importanza quelli negativi. In breve, meglio lo scandalo, un aiuto suicida uscito dal carcere non pentito, più casi di aiuto al suicidio, un’applicazione più libertaria della legge 219 che una “norma varata” dalla Consulta di certo assai più perniciosa.

Ma nel ragionamento appena articolato, che si incardina sul principio del duplice effetto, occorre tenere in considerazione un altro criterio oltre a quello che soppesa i pro e i contro: è necessario verificare la probabilità che si verifichino sia gli effetti negativi che quelli positivi. Ora secondo il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, intervenuto al convegno, sarà impossibile arrivare ad una legge entro il 24 settembre. Ma, se è impossibile arrivare ad una legge, gli effetti positivi prospettati non si produrranno e si potranno produrre solo quelli negativi: sarà la Consulta a “scrivere” la legge. Ergo, dato che comunque una buona legge non potrà vedere la luce, è assai più utile sul piano politico, culturale e sociale proporre un testo legislativo non minimale – riduzione delle pene dell’art. 580 – bensì più coraggioso: andiamo a modificare in meglio la vigente legge 219. E infatti nella proposta dell’on. Pagano sono presenti delle modifiche a tale normativa. Percorriamo dunque questa strada (nei giusti modi, perché alcuni articoli della proposta Pagano sono censurabili).

Nel convegno però si è proposta un’altra strategia suggestiva. Chiediamo più tempo alla Corte così da essere sicuri che una legge riusciremo a metterla insieme oppure speriamo che i termini posti dalla Corte non siano perentori. In merito a queste possibilità nel convegno sono emerse diverse opinioni: c’è chi dice che il termine indicato dalla Corte è perentorio, chi dice che non lo è, chi afferma che è possibile chiedere alla Corte più tempo, chi si arrende all’evidenza che è impossibile procrastinare. Cosa dire? Poco importa avere più tempo per legiferare e dunque per sperare di portarsi a casa i famosi effetti positivi di cui sopra, perché ritorna ahinoi il criterio della probabilità che si verifichino questi benedetti effetti positivi. Infatti ammettiamo anche che si arrivi a legiferare entro il 24 settembre o che il termine venga prorogato così da avere in mano in futuro una legge, se la Consulta riceve un testo normativo che prevede solo pene più miti lo dichiarerà incostituzionale e procederà per la sua strada.

Infatti la Corte, in più punti, è stata chiara: non vuole sanzioni all’acqua di rose per il reato di aiuto al suicidio – nulla è stato detto a riguardo nell’ordinanza – vuole o la sua depenalizzazione o più probabilmente la sua legittimazione per le situazioni di particolare fragilità che interessano la persona. Anzi la Corte spinge verso la legittimazione di altre forme di eutanasia attiva già previste dalle legge 219, infatti chiede la liceità della “somministrazione di un farmaco atto a provocare rapidamente la morte, […] inserendo la disciplina stessa nel contesto della legge n. 219 del 2017”. Questo è l’orientamento della Corte, altro che pene più miti per chi aiuta qualcuno a suicidarsi. A dirci che la Consulta butterà nel cestino il tentativo di affievolire le pene sono proprio coloro che propongono di rendere più morbido l’art. 580 cp quando affermano che se non interveniamo la Corte approverà una disciplina moralmente ben più censurabile, ammettendo così di aver ben compreso qual è l’orientamento della Consulta.

Ricordiamo poi che la Corte non accetterà passivamente qualsiasi decisione dal Parlamento, ma ne vaglierà il profilo costituzionale. Ha dunque sospeso il giudizio di legittimità fino a quando il Parlamento non deciderà: una volta rimesso mano all’art. 580 si pronuncerà. Infatti i giudici hanno deciso “di disporre il rinvio del giudizio in corso, fissando una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale all’udienza del 24 settembre 2019, in esito alla quale potrà essere valutata l’eventuale sopravvenienza di una legge che regoli la materia in conformità alle segnalate esigenze di tutela”.

Dunque dato che la Consulta si aspetta una depenalizzazione almeno parziale del reato di aiuto al suicidio o, ancor più probabilmente, una modifica della legge 219 per legittimare l’aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente tramite iniezione letale e dato che qualsiasi legge che non andrà in questa direzione verrà dichiarata insoddisfacente dalla Consulta, è inefficace puntare al minimo – mitighiamo le pene dell’art. 580 cp – bensì, come hanno chiesto alcuni partecipanti al convegno, approfittiamo dell’opportunità per modificare in meglio la legge 219 e per, contemporaneamente, promuovere una mobilitazione di massa su questi temi, come suggerito dal presidente del Comitato difendiamo i nostri figli Massimo Gandolfini. Perlomeno i giudici butteranno nel cestino una proposta coraggiosa.

In breve, non giochiamo sempre di rimessa, ma proviamo una volta tanto a giocare d’attacco. Così facendo non abbiamo nulla da perdere, ma solo da guadagnare.

 

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