L’assegno di divorzio come in una Società per azioni

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Di Tommaso Scandroglio. La Cassazione ha definitivamente sentenziato sull’assegno di divorzio tentando di trovare un punto di equilibrio tra “tenore di vita” e “autosufficienza” del coniuge economicamente più debole.
Si delinea sempre di più il matrimonio come un contratto che dà vita ad una SPA in cui ogni coniuge entra in società con i propri utili nella speranza che portino frutto.
Ma il divorzio rimane una piaga morale e sociale tanto drammatica quanto ormai perfettamente assimilata dalla coscienza collettiva.

In principio c’era il criterio del “tenore di vita” a fungere da paradigma per il calcolo del quantum dell’assegno divorzile. E dunque tu ex coniuge dovevi assicurare all’altro ex coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita sperimentato durante il rapporto matrimoniale.

Poi la Cassazione con la sentenza 11504/17 (Lamorgese sul caso Grilli) sposò un criterio opposto: laddove il richiedente fosse stato economicamente autosufficiente nulla poteva chiedere all’altro ex coniuge, anche se il suo attuale tenore di vita non poteva essere comparato con quello precedente. Dopo questa sentenza, la Cassazione tornò sul tema altre volte per limare i criteri utili a stabilire l’importo dell’assegno di divorzio.

L’ultima puntata si è svolta l’11 luglio scorso con la sentenza n. 18287, in cui la Cassazione ha tentato di trovare un punto di equilibrio tra “tenore di vita” e “autosufficienza” del coniuge economicamente più debole. A tal fine i criteri indicati sono plurimi e così diversificati da spingere gli stessi giudici a parlare di “criterio composito”. Vediamo quali sono questi criteri.

I giudici innanzitutto ne indicano tre generali. Criterio assistenziale: nessun povero in canna sarà abbandonato al suo destino. Secondo: criterio compensativo. L’assegno non deve diventare una rendita, una sorta di pensione una volta che hai cessato la professione di “coniuge”, ma deve andare solo a compensare quel gap che non permette alla parte più debole di vivere adeguatamente. Terzo: perequativa. Non si può più procedere per valutazioni astratte, ma, per arrivare ad una determinazione la più corretta possibile, occorre quantificare l’importo in relazione al rapporto coniugale particolare che concretamente si è instaurato.

Poi i giudici specificano meglio questi ultimi due criteri. In merito a quello compensativo occorre tenere in considerazione le “potenzialità reddituali future”  e “l’età dell’avente diritto”. Quindi la valutazione cambierà a seconda della professione svolta ( in genere ti darò poco se tu ex moglie fai la manager, di più se fai la badante part time) e dell’età (se sei giovane hai molte opportunità di lavoro e quindi il contributo sarà prevedibilmente minore rispetto ad un ex coniuge anziano).

Il terzo criterio è stato quello che giustamente i media hanno commentato con maggior attenzione perché è in effetti il più innovativo. I giudici hanno deciso di dare “particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio. […] Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale”.

Ancor più chiaramente tengono a precisare che «lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare». Pertanto, «l’adeguatezza dei mezzi deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare». E dunque il giudice che si troverà a stabilire l’importo dell’assegno dovrà conferire «rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare». Questo perché “la funzione equilibratrice dell’assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma, soltanto, al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex più debole, alla realizzazione della situazione comparativa attuale”. In conclusione «l’adeguatezza dei mezzi – osservano le Sezioni unite – deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte».

Quindi, assai in sintesi, più avrai contribuito alla vita familiare più ti verrà riconosciuto una volta divorziato. Non vale più il criterio del tenore di vita, bensì dell’impegno (economico) di vita. Questo criterio però non è l’unico, come abbiamo visto, ma deve essere integrato anche con gli altri, compreso quello che fa riferimento al principio di solidarietà e dunque, almeno a dar retta a questa sentenza, anche il più fannullone degli ex coniugi non potrà finire in mezzo ad una strada.

Il criterio dell’impegno economico profuso durante la vita a due pare rimandare ad una visione del matrimonio come contratto puramente economico: una convergenza di interessi contrapposti mediata appunto per il tramite del patto coniugale. Il contratto, in questa prospettiva, dà vita ad una SPA in cui ogni coniuge entra in società con i propri utili nella speranza che portino frutto. Se non è così, esce dalla società. Ovviamente più hai dato più potrai richiedere. Se hai investito poco, poco ti sarà riconosciuto.

L’applicazione di tutti questi criteri porterà ovviamente a decisioni da parte dei giudici di merito delle più diverse. Ma non è questo che ci preme sottolineare, bensì un altro aspetto di carattere morale. Dopo lo scioglimento del matrimonio civile, tra i due ex coniugi sussistono ancora delle relazioni giustificate dall’educazione dei figli, dalla gestione di alcuni beni etc. e anche  dall’emissione dell’assegno divorzile di cui sopra. Ora la morale naturale insegna che se il matrimonio è valido i due ex coniugi sono “ex” solo agli occhi della legge, non agli occhi di Dio. Dunque dopo il divorzio più i legami sono stretti tra i due meglio è dal punto di vista morale. Ovviamente tali legami non devono avere carattere conflittuale.

Dopo questa sentenza della Cassazione i due ex coniugi saranno più vicini o più lontani tra loro? Difficile dirlo in generale perché, come accennato, ogni caso sarà trattato a sé e casi uguali, a motivo dei molteplici criteri da tenere in considerazione, potranno avere anche esiti giurisprudenziali assai differenti. Ciò detto però qualche avvocato matrimonialista ha paventato il caso che in alcune ipotesi, grazie a questa sentenza, un ex coniuge potrà pagare l’assegno divorzile in un’unica soluzione così da non pensarci più. In tal modo anche questo tenue legame di natura meramente economico verrebbe definitivamente meno tra i due sposi.

Ma alla fine questi sono solo sottili distinguo alla pari di quelli escogitati dai giudici di Roma per tentare, almeno nelle intenzioni, di rendere meno ingiusta un’ingiustizia chiamata “divorzio”. Dunque ciò che rileva è che il divorzio rimane una piaga morale e sociale tanto drammatica quanto ormai perfettamente assimilata dalla coscienza collettiva.

 

 

fonte: http://lanuovabq.it/it/lassegno-di-divorzio-come-in-una-spa

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