Prime interpretazioni delle DAT confermano: è legge pro eutanasia!

S’intitola Conoscere la legge n. 219/2017 ed è un documento che interpreta la legge sulle Dat, redatto da diversi ordini professionali del Lazio, insieme all’Aisla, l’Associazione Luca Coscioni e un ospedale dei Fatebenefratelli. Il testo si muove nel solco della ratio eutanasica della 219, senza cioè criticare la legge, a parte qualche eccezione marginale.

Il documento che asseconda la ratio eutanasica delle Dat

L’Ordine delle professioni infermieristiche di Roma, l’Ordine degli psicologi del Lazio, l’Ordine provinciale di Roma dei medici-chirurghi e odontoiatri, l’associazione radicale “Luca Coscioni”, la Società Italiana di Cure Palliative, l’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica e l’ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli hanno redatto un documento dal titolo Conoscere la legge n. 219/2017 – la cosiddetta legge sulle Dat – al fine di offrire un’esegesi della norma a beneficio di cittadini, pazienti, familiari e operatori sanitari.

In via preliminare occorre precisare che questo documento non esce dal perimetro normativo della legge 219 e ne rispetta la ratio eutanasica. In altri termini il documento – a parte qualche eccezione marginale – non critica la legge.
Quest’ultima, lo ricordiamo (http://www.lanuovabq.it/it/catalogo-online/libri), legittima sia l’eutanasia omissiva che quella commissiva (detta anche attiva).
Infatti, il comma 5 dell’articolo 2 riconosce il diritto di rifiutare qualsiasi terapia, quindi anche quelle salvavita, da iniziare e di interrompere qualsiasi terapia, comprese nuovamente quelle salvavita, già iniziate.

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Dopo Verona: il popolo della vita e chi pretende rappresentarlo

Dopo dodici tranquilli e inoffensivi congressi tenuti in tutto il mondo, Brian Brown, presidente del World Congress of Families (WCF), non poteva certo immaginare il clima incendiario che ha circondato la 13esima edizione dell’evento, svoltasi a Verona dal 29 al 31 marzo 2019.

E’ a Verona – scrive Massimo Recalcati– che va in scena lo scontro politico tra le due anime del governo” (“La Repubblica, 31 marzo). Ed è vero. Le polemiche che si sono accese attorno al Convegno sono nate soprattutto dal desiderio della sinistra di allargare le divisioni che esistono tra i due movimenti della Lega e dei Cinque Stelle al governo. Certamente questo non era nelle intenzioni degli organizzatori, che avrebbero però dovuto prevedere le conseguenze della vistosa passerella politica inscenata nel congresso, a cui hanno partecipato professori, esperti, leader pro-life di valore che non hanno avuto però le luci della ribalta.

Al di là delle buone intenzioni, leggiamo poi con preoccupazione queste parole nel documento conclusivo del congresso:

Tra le richieste della Dichiarazione di Verona: il riconoscimento della perfetta umanità del concepito; la protezione da ogni ingiusta discriminazione dovuta all’etnia, alle opinioni politiche, all’età, allo stato di salute o all’orientamento sessuale; la tutela delle famiglie in difficoltà economiche, specie se numerose, e delle famiglie rifugiate; il contrasto all’inverno demografico, tramite leggi che incentivino la natalità” (Notizie Pro Vita 31 marzo).

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Dopo Verona: Abrogare o applicare la 194?

Sono trascorsi ormai quasi quarantuno anni dall’entrata in vigore della legge 194/1978 che ha legalizzato l’omicidio dell’innocente nel grembo materno e che ha causato la morte, finora, di oltre sei milioni di persone. Eppure, essa continua a godere di un certo pregiudizio positivo soprattutto in ambito pro-life, anche da chi tende comunque a giudicarla una norma iniqua.

Per costoro la 194 è costituita da due parti separate e distinte, quasi a formare altrettanti differenti corpi normativi: una negativa che regolamenta l’aborto volontario e l’altra positiva che indica delle possibili alternative all’aborto stesso. In particolare, gli articoli 1 e 2 della legge conterrebbero delle disposizioni tese a limitare gli aborti e ad aiutare le madri in difficoltà, che sarebbero rimaste in larga parte disattese, ossia non applicate.

Tale tesi è emersa chiaramente anche nel Congresso Mondiale delle Famiglie che si è appena concluso. Massimo Gandolfini, il leader dell’evento che ha suscitato molte polemiche per via della presenza di numerosi politici e per il patrocinio concesso dal ministero della Famiglia, ha dichiarato che «in Italia, dal 1978 ad oggi, sono stati uccisi sei milioni di bambini (…) Noi diciamo che la legge 194 va applicata tutta. Voglio ricordare che dagli anni 70 ad oggi sono stati salvati 200.000 bambini grazie ad associazioni finanziate con la beneficenza, mentre lo Stato non ci ha messo un euro (…) Dico ai politici: finanziate i primi 5 articoli della legge 194». (altro…)

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“Unplanned” sfida la censura e mostra l’orrore dell’aborto

Calano le luci. Immagini di amena vita familiare. Poi, a pochi quadri dall’inizio, il pugno arriva diritto nello stomaco. Assisti a un aborto. Ricreato per il cinema, lo sai, ma in quel momento lo dimentichi apposta, hai già sospeso la tua incredulità, sei totalmente dentro, sei là dove e mentre sta accadendo. Ti dimeni sulla poltroncina, incapace di resistere. Vorresti strapparti le vesti, vuoi vomitare. Boccheggi, ti manca l’aria, pensi di mandare tutti alla malora e scappare lontano. La testa ti gira. Lo odi quel film, lo maledici, specie il momento in cui hai deciso di entrare in sala. Chiudi orecchi e occhi, non vuoi sapere nulla, niente di niente, risvegliarti dall’incubo a mille miglia di distanza. Senti invece le immagini scenderti nella carne, entrarti dentro. “Basta!”, sbotti dentro di te, e quasi lo dici ad alta voce. Vuoi accendere la luce, uscire dal tunnel, liberarti dagli spettri. Sì, è proprio un film adatto a tutti nonostante la censura, un film da far vedere a tutti.

Si intitola Unplanned ed è la cosa peggiore del mondo. Tratto dal libro omonimo del 2011, è la storia vera e nota di Abby Johnson, che oggi ha 39 anni. Quando ne aveva 29 ha visto un aborto monitorato agli ultrasuoni (1).

Il punto è che agli abortisti fa scandalo che una donna possa vedere e sentire il figlio che sta per sopprimere. Il NARAL lo dice apertamente: «Le leggi sull’obbligatorietà degli ultrasuoni non hanno giustificazione medica e sono pensate dai politici anti-choice solo per intimidire, vergognare e molestare le donne che vogliono l’aborto» (2).

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Eluana: dieci anni dopo l’Italia ha già digerito l’eutanasia?

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3.652. Sono i giorni passati da quel 9 febbraio 2009 in cui Eluana Englaro è stata uccisa. Dieci anni esatti.
La memoria collettiva ha cancellato molti aspetti di quella vicenda:

  • il padre di Eluana che per ben sei volte, ma senza successo, chiese ai giudici civili che la figlia potesse morire per fame e per sete;
  • la Corte di Cassazione che chiuse la vertenza giudiziaria lunga 17 anni e diede ordine di uccidere Eluana ricostruendo la sua volontà eutanasica tramite gli “stili di vita” della ragazza e considerando la morte come suo best interest;
  • le suore Misericordine della casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco che per anni avevano prestato assistenza amorevole ad Eluana, rifocillandola e idratandola in modo massiccio nell’ultimo suo giorno di degenza, prima che fosse trasferita ad Udine nella clinica La Quiete (nome omen), sapendo a quale morte avrebbe dovuto andare incontro;
  • il decreto “Salva Eluana” voluto dal governo Berlusconi, ma non firmato dal Presidente della Repubblica Napolitano;
  • ed infine la morte di Eluana in una stanza, così si mormora, in cui avevano alzato la temperatura per anticipare il suo decesso (in Parlamento si stava lavorando ancora ad un disegno di legge che potesse salvarla).

E da allora? Da quel giorno di dieci anni fa l’eutanasia, per paradosso, è viva e vegeta e gode di ottima salute. Da allora infatti abbiamo avuto

  • la legge belga sull’eutanasia infantile (clicca qui e qui);
  • un governo, quello canadese, che si sta muovendo nella stessa direzione (clicca qui);
  • l’Olanda, dove è legittima l’eutanasia sui minori ed anche su anziani non malati (clicca qui), che nel 2002 ha registrato 1.882 casi di eutanasia per arrivare a 6.585 nel 2017 (clicca qui);
  • le vicende di Charlie Gard, Alfie Evans, Isaiah Haastrup, piccoli pazienti inglesi uccisi perché non potevano migliorare e che hanno portato alla luce una pratica comune e diffusa in Inghilterra e non solo (clicca qui);
  • la pubblicazione di un articolo su rivista scientifica dei ricercatori Francesca Minerva e Alberto Giubilini favorevoli all’infanticidio (clicca qui), chiamato abort-post nascita, mettendo in evidenza che la specie morale tra aborto ed eutanasia è la medesima:
  • l’assassinio, come ben hanno compreso i Democratici USA i quali non solo stanno spingendo per l’aborto al nono mese, ma anche per l’aborto al decimo mese cioè quando il bambino è già nato;
  • il caso di DJ Fabo e quello connesso alla vicenda giudiziale del radicale Marco Cappato (clicca qui), la quale ha permesso di sollevare eccezione di incostituzionalità presso la Corte Costituzionale in merito al reato di aiuto al suicidio, reato che forse parzialmente verrà abrogato dal Parlamento (clicca qui) ;
  • la recente proposta di legge sull’eutanasia presentata dai Radicali (clicca qui).

In questo elenco necessariamente incompleto, un posto di (dis)onore merita la  Legge 22 dicembre 2017, n. 219, chiamata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” (clicca qui). Questa legge permette l’eutanasia attiva ed omissiva sia su paziente cosciente che su persona non vigile e vieta l’obiezione di coscienza dei medici.
Se si esclude il fatto che non consente l’eutanasia tramite iniezione letale e l’aiuto al suicidio, possiamo dire che tale normativa è la legge più libertaria al mondo in tema di eutanasia.

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Gender: quando l’Assemblea degli Studenti chiama l’Arcigay

Da varie parti giunge notizia di inviti da studenti delle scuole secondarie alle più disparate associazioni, prime tra tutte quelle della galassia LGBT (1).
Sono inviti leciti? Di chi è la responsabilità? Cosa può fare la famiglia?

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L’Assemblea degli Studenti di Istituto è prevista dal DPR n. 249/1998 (2) che impone l’inserimento nel Regolamento d’Istituto della disciplina di tale riunioni.
Dopo qualche anno di drammatiche sperimentazioni, tale D.P.R. è stato corretto  tornando a responsabilizzare la famiglia attraverso il Patto Educativo di Corresponsabilità (P.E.C. ex D.P.R  235/2007): «i doveri di educazione dei figli e le connesse responsabilità, non vengono meno per il solo fatto che il minore sia affidato alla vigilanza di altri (art. 2048 codice civile, in relazione all’art. 147 c.c.)» (3).

Dunque, qualunque cosa prevedano il Regolamento d’Istituto o il P.E.C., i genitori restano responsabili dell’educazione dei propri figli: «Il patto di corresponsabilità, pertanto, potrà richiamare le responsabilità educative che incombono sui genitori […] nei casi in cui i propri figli si rendano responsabili di […] comportamenti […] che ledano la dignità ed il rispetto della persona umana» (4).  È ovviamente assurdo attribuire una responsabilità senza fornire strumenti di controllo e decisionali.

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Eutanasia preventiva: l’abisso olandese

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Accettata l’eutanasia ne consegue che il problema si sposta solo al quando.
In Olanda si sono inventati l’eutanasia preventiva.
A volte accade anche dopo una diagnosi di una malattia degenerativa, ancor prima dell’insorgenza piena.
Come la storia di Annie Zwijnenberg.

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In Olanda, terra di tulipani e di crisantemi, si sono inventati l’eutanasia preventiva. In realtà l’eutanasia è sempre preventiva, ossia si vuole evitare che il paziente soffra ponendo fine anzitempo alla sua esistenza.
Meglio prevenire che curare. Tradotto: meglio anticipare la morte che curare. E in questo caso la malattia si chiama vita e la cura è la morte.

Accettata l’eutanasia ne consegue che ora il problema si sposta solo al quando.
Detto in altri termini, posto che sia giusto uccidere una persona per non farla soffrire, sia fisicamente che psicologicamente, quando è giusto ucciderla?
Prima che soffra in modo indicibile, prima che inizi a soffrire anche in modo sopportabile, prima che perda la coscienza di sé, la propria lucidità?
La domanda in Olanda se la sono posta, soprattutto in merito a quest’ultimo aspetto. Infatti nei Paesi Bassi per accedere all’eutanasia occorre che la decisione del paziente sia pienamente libera, che vi sia presente una condizione di “sofferenza insopportabile senza prospettiva di miglioramento” oppure che si preveda che tale diventerà (requisito, quello riguardante l’impossibilità di miglioramento, che interessa tutti i mortali) e che non esiste “alcuna alternativa ragionevole” (anche questo requisito è presente nella esistenza di tutti noi perché la morte è per ognuno di noi inevitabile).

Soffermiamoci sul primo aspetto: la libera decisione di farla finita. E se il paziente non è più presente a se stesso perché ad esempio è affetto da una patologia neurodegenerativa? In punta di diritto il suo consenso non sarebbe valido (ma il pragmatismo olandese spesso pone efficacemente rimedio alle rigidità legali). E dunque bisogna agire per tempo.

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La “pillola del giorno dopo” denunciata in Parlamento

Ferrara. La “imponente” manifestazione contro la maternità e le mamme in difficoltà fatta dal Comitato “Non una di meno”: vale a dire che tale Comitato è composto da 14 persone, non una di meno.

Emilia-Romagna. Continua l’attenzione degli esponenti di Fratelli d’Italia nei confronti della difesa della vita nascente.
Come si ricorderà, il principio attivo della “Pillola del giorno dopo” è risultato provocare danni epatici (vedere: https://www.difenderelavita.org/e-salta-fuori-che-la-pillola-del-giorno-dopo-distrugge-il-fegato/).

Lo scorso giugno era stata fatta un’interrogazione sull’argomento dal consigliere Giancarlo Tagliaferri (FdI) che aveva ottenuto una risposta evasiva e pilatesca da parte dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna (vedere: https://www.difenderelavita.org/emilia-romagna-pillola-abortiva-gratis-fratelli-ditalia-non-ci-sta/).

Infine, il senatore Alberto Balboni (FdI) ha deciso di sottoporre il grave problema al Parlamento, depositando un’interrogazione a risposta scritta (vedere: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=18&id=1105306 ) che riproduciamo integralmente:

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Continua in Italia la strage abortista

Il ruolo crescente delle pillole “del giorno dopo”, spesso abortive: tra il 2015 e il 2017 le vendite sono praticamente raddoppiate.

Con leggero ritardo è stata presentata a Roma la relazione sull’attuazione della legge 194 che ogni anno, in una sorte di macabro rituale, il ministero della Salute porta all’attenzione del Parlamento italiano.

I dati definitivi del 2017 confermano il trend degli ultimi anni:

  • rimane costante il numero degli infanticidi prenatali legalizzati che si attesta intorno ad una cifra di poco inferiore alle 81.000 unità (l’intera popolazione di una media città italiana come Varese …) con una leggera flessione rispetto al 2016 (4,9 percento in meno), malgrado il generale calo delle nascite;
  • in costante crescita, invece, il numero degli aborti farmacologici, tanto che gli omicidi provocati dall’utilizzo della pillola Ru486 sono cresciuti del 5 percento in soli tre anni e nel 2017 hanno rappresentato il 17,8 percento del totale;
  • per quanto riguarda il ricorso alla contraccezione d’emergenza si registra un vero e proprio boom di vendite, in particolare della pillola del giorno dopo e di quella dei 5 giorni dopo (EllaOne), anche in considerazione del fatto che per acquistare tali prodotti cripto abortivi non vige più l’obbligo della prescrizione medica;
  • rimane stabile il dato sugli obiettori di coscienza e il ministero della Salute, basandosi su parametri di calcolo specifici come i carichi di lavoro settimanale per medico obiettore e la diffusione dei punti Ivg rispetto ai punti nascita, non rileva, purtroppo, particolari criticità nell’erogazione dei “servizi” di aborto.

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Manifesto interreligioso o errore sul fine vita?

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Il 5 febbraio è stato sottoscritto da molte realtà religiose, cattoliche e non, il «Manifesto interreligioso dei diritti nei percorsi di fine vita», che ha il grande limite di non vietare esplicitamente l’eutanasia, pratica che non è mai rispettosa della dignità personale. Un secondo aspetto molto problematico di questo documento è il modo fuorviante in cui viene intesa la libertà religiosa.

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Si chiama «Manifesto interreligioso dei diritti nei percorsi di fine vita» ed è stato elaborato da un gruppo promotore costituito dall’ASL Roma 1, dal Gemelli Medical Center dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dal Tavolo interreligioso di Roma. Il Manifesto è stato sottoscritto il 5 febbraio da molte realtà religiose, cattoliche e non. Un manifesto che quindi trova concordi cristiani, ortodossi, protestanti, buddisti, islamici, ebrei, induisti.

Il Manifesto si sostanzia in nove diritti: diritto di disporre del tempo residuo; diritto al rispetto della propria religione; diritto a servizi orientati al rispetto della sfera religiosa, spirituale e culturale; diritto alla presenza del referente religioso o assistente spirituale; diritto all’assistenza di un mediatore interculturale; diritto a ricevere assistenza spirituale anche da parte di referenti di altre fedi; diritto al sostegno spirituale e al supporto relazionale per sé e per i propri familiari; diritto al rispetto delle pratiche pre e post mortem; diritto al rispetto reciproco. Ogni diritto trova nel documento una sua spiegazione più dettagliata.

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